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 2011  giugno 23 Giovedì calendario

EGO ME ABSOLVO

Una Waterloo? Per niente. Se al quarto giorno di crisi avesse rimesso le cose a posto come abbiamo fatto noi, Napoleone sarebbe ancora l’Imperatore dei francesi". Massimo Sarmi non appare scalfito dalla tempesta che a inizio giugno s’è abbattuta su Poste italiane per colpa dell’ingorgo informatico che ha drammaticamente limitato le attività agli sportelli. "Le aziende di servizi mostrano di che pasta sono fatte nei momenti di difficoltà. E noi abbiamo reagito nel miglior modo possibile: sbrigando comunque 6 milioni di pratiche al giorno nella fase di malfunzionamento delle nuove piattaforme, rispetto a uno standard di 8", ribadisce l’amministratore delegato delle Poste.
Pasticcio tecnologico a parte, l’azienda guidata da Sarmi è da tempo bersaglio di aspre polemiche. I liberalizzatori a 360 gradi dell’Istituto Bruno Leoni bollano la sua azienda come onnivora e aggressiva nelle diversificazione dei servizi; i pochi rivali nei servizi già aperti alla libera competizione - l’olandese Tnt e l’italiana Selecta - si affidano all’Antitrust per respingere quelli che ritengono abusi monopolistici; il segretario dei radicali italiani Mario Staderini denuncia alla Commissione europea il governo Berlusconi per le inefficienze del sistema postale causate dai ritardi nel recepire le direttive europee, per l’affidamento a Poste italiane di tutto il Servizio universale e per il varo di un’Autorità di controllo di settore che non è affatto indipendente, soggetta com’è al ministero dello Sviluppo economico. Accuse di fronte alle quali Sarmi non fa un piega. È convinto di essere sulla strada giusta, macinando utili da nove anni consecutivamente (oltre un miliardo nel 2010), e non teme che le polemiche sui disservizi e le code di utenti imbufaliti getteranno benzina sul fuoco liberalizzatore. "Diciamo le cose come stanno: dappertutto la corrispondenza classica è in calo e noi siamo l’unico caso al mondo in cui non sono stati ridotti i posti di lavoro. Continuiamo a fare il lavoro di sempre, utilizzando ovviamente le moderne tecnologie: non capisco proprio in che modo saremmo usciti dalla missione originaria. O devo ritenere fuori dalla mia missione le carte prepagate, un successo planetario, leader in Europa con 7,5 milioni di pezzi e che venderemo anche in India dove abbiamo vinto una gara?", si chiede il manager.
"È vero, le Poste italiane fanno utili: però grazie ai servizi bancari e assicurativi che sfruttano la ramificata presenza sul territorio dei 14 mila sportelli", sottolinea l’economista Ugo Arrigo, docente dell’Università Bicocca di Milano, "e anche se la rete è fondamentale per lo sviluppo dei business finanziari, una parte consistente dei costi viene imputata al servizio postale che ogni anno il governo deve coprire, in media per 600-700 milioni di euro". Secondo Arrigo, peraltro, si possono guadagnare quattrini anche con l’attività di posta tradizionale, come dimostra la Tnt, che in Olanda gestisce il recapito totalmente privatizzato: "È in calo la spedizione di posta cartacea anche nei Paesi Bassi, però riescono a farlo ottenendo un utile. Perché? Sono più efficienti. E l’Olanda, che ha un quarto degli abitanti dell’Italia, ha un traffico postale di poco inferiore a quello italiano". Ora è normale che la corrispondenza tradizionale perda terreno nei confronti delle e-mail: il problema, secondo il docente milanese, è che in Italia la flebile spinta all’efficienza del monopolista ha danneggiato di fatto l’espansione di tre aree di business che altrove hanno fatto decollare il traffico postale: la diffusione dei giornali per abbonamento, le vendite per catalogo e il direct marketing. Già fortemente depresse a causa dello strapotere della tivù, queste forme di comunicazione avrebbero sofferto anche per colpa dell’inefficienza e dei ritardi delle Poste, è il pensiero dei critici.
Parecchi paesi europei (Francia, Germania, Olanda, Svezia) ritengono comunque, ancora oggi, che l’attività postale possa autofinanziarsi e non riconoscono alcun contributo all’onere del cosiddetto servizio universale. Tra gli Stati che invece un contributo lo prevedono, l’Italia è tra quelli che sborsa di più. Secondo uno studio della società di consulenza Copenhagen Economics, l’applicazione delle direttive europee e le restrizioni dei contributi per il servizio universale permetterebbero all’Italia un risparmio di circa 200 milioni di euro. E nelle casse statali potrebbero entrare 350-400 milioni di gettito fiscale in più se fosse abolita l’esenzione dell’Iva di cui gode oggi Poste italiane (ma non gli altri operatori). In teoria, dunque, i fautori della liberalizzazione avrebbero parecchie carte da giocarsi.
Ma il governo non pare troppo interessato a rivoluzionare gli assetti esistenti. Il Tesoro controlla il 100 per cento di Poste italiane e anche se, nelle giornate nere di giugno, la rivolta negli uffici postali non deve aver fatto piacere a Giulio Tremonti, il ministro difficilmente si batterà per dare una scossa pro-concorrenza. Anche perché le Poste hanno comprato il Mediocredito Centrale per farne il perno della futura Banca del Sud e stanno studiando l’opportunità di partecipare all’asta per le frequenze per la telefonia mobile (dove già hanno 2 milioni di clienti in qualità di operatore virtuale), asta per cui, finora, i big dei cellulari non hanno manifestato grande entusiasmo. Neppure banche e assicurazioni, che pure guardano con apprensione all’escalation di Poste italiane sui rispettivi terreni di gioco, hanno voglia di litigare con il Sarmi banchiere e con il Sarmi assicuratore, che con polizze e servizi finanziari fattura tre volte il Sarmi postino.
In piena bufera informatica, si è saputo che, sui conti corrente base, dal primo settembre Poste italiane ridurrà il tasso a zero. "Comunque, il cliente delle Poste ha molte altre opportunità, quelle sono le condizioni del nostro conto che costa meno", commenta Sarmi.
I passaggi negativi, insomma, Sarmi li assorbe come un pugile buon incassatore. Non ha fatto marcia indietro quando "L’Osservatore Romano" ha criticato la decisione di non consegnare più la posta standard al sabato e non si commuoverà quando, martedì 21 giugno, sotto la sede di viale Europa a Roma sfilerà il Comitato precari. Dice uno di loro, Simone Martini: "Siamo in 1.400 e l’azienda con noi tratta a colpi di cause, mentre il sindacato non alza un dito perché alle Poste comanda la Cisl". Comandare, magari no, però un certo peso ce l’ha: Giovanni Ialongo, già capo della Cisl postale, è presidente della società.