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 2011  giugno 14 Martedì calendario

I DOCUMENTI, LE PROVE E CHI PARLA SENZA AVER VISTO

Abbiamo gettato il sasso nello stagno e Vittorio Sgarbi lo ha colto al volo. È impossibile non condividere quanto scrive il critico d’arte sulle pagine de «Il Giornale» sull’importanza che l’inserto domenicale del Sole 24 Ore riveste per gli storici dell’arte. Si tratta di una sede la cui obiettività e serietà non sono mai state discusse e – di solito – chi viene ospitato (assumendosi la responsabilità delle proprie proposte) è spesso grato e onorato di farlo.

Veniamo ai fatti. Un importante dipinto raffigurante «Sant’Agostino», accompagnato da impressionanti dati documentari che lo attribuiscono a Caravaggio e lo dicono proveniente dalla Collezione Giustiniani di Roma sta per essere presentato in una grande mostra alla National Gallery di Ottawa, curata da rinomati studiosi come David Franklin e Sebastian Schütze (autore, quest’ultimo, di una recente applauditissima monografia su Caravaggio). Nel catalogo di Ottawa il commento al «Sant’Agostino» è stato affidato a Francesca Cappelletti, non solo autrice di importantissime scoperte sul Merisi (trovò a Recanati i documenti di pagamento della «Cattura di Cristo» di Dublino) ma anche autrice di un’incisiva monografia. La studiosa – tra le poche che hanno potuto vedere e rivedere il quadro – non ha dubbi: si tratta di un quadro problematico ma che ha tutte le carte in regola per essere assimilato al catalogo di Caravaggio. Quest’opera è partita per Ottawa senza essere stata analizzata in Italia. Quindi, ben venga la discussione che si apre. Non studiare un quadro così solidamente documentato sarebbe la vera bufala. Ci permettiamo di invitare sin d’ora Vittorio Sgarbi, e altri eminenti studiosi di Caravaggio, a vedere di persona il dipinto a Ottawa, oppure di attendere con pazienza sino a novembre. La soprintendente Rossella Vodret - che ha esaminato a fondo il dipinto e ne condivide l’attribuzione - esporrà il quadro nella capitale nell’ambito della mostra su «Caravaggio e Roma», programmata a Palazzo Venezia. In quell’occasione verrà organizzato attorno al quadro in questione un convegno di due giorni, dove tutti gli studiosi più accreditati saranno chiamati a visionare il dipinto e a dare il loro parere. Gli storici dell’arte potranno liberamente e costruttivamente confrontarsi, portando elementi di discussione sui primi anni romani di Caravaggio che – è bene sottolineare - nessuno conosce ancora in modo adeguato.
L’opinione espressa ieri da Vittorio Sgarbi - conoscitore stimato – stupisce perché ha il grave difetto di essere pronunciata in totale assenza dell’opera. Sgarbi parla senza aver visto il quadro, basandosi sulla foto riprodotta sul giornale: strano per un professionista come lui. Giustamente l’amico Vittorio cita Roberto Longhi, che riteneva l’opera d’arte il primo essenziale documento, e che, si badi bene, metteva in guardia i suoi giovani allievi dall’uso ottuso delle fotografie, in quanto la pittura va guardata sempre al vero, da vicino e da lontano, ma sull’originale.
La verità è che pochi sono oggi i veri conoscitori. Una personalità straordinaria, capace di trasmettere veri insegnamenti alle nuove generazioni è Mina Gregori. Ebbene, la professoressa Gregori, interpellata, ha risposto con pacata saggezza: «Ho visto il dipinto in fretta e non l’ho studiato abbastanza. Prima devo studiarlo. Certo è che le notizie documentarie emerse sono interessantissime e promettenti».
Ecco, abbiamo voluto offrire notizie «interessantissime e promettenti» che contengono dati incontrovertibili: le misure del quadro corrispondono perfettamente a quelle in palmi romani, gli inventari Giustiniani sono stati redatti personalmente da un grande conoscitore e collezionista quale era il marchese Vincenzo e possediamo il quadernetto con le annotazioni di suo pugno. Gli acquisti sono stati fatti da lui, e se scrive che il “Sant’Agostino” è di Caravaggio avrà avuto qualche buona ragione. Pensiamoci bene prima di smentirlo.
Questi sono fatti. Poi, abbiamo espresso anche l’opinione che il dipinto è splendido, con una chiave espressiva molto misurata, quasi in sottotono, ma con particolari estremamente legati alla prima fase di Caravaggio, quella che conosciamo meno ma che potremo finalmente comprendere e ricostruire alla luce anche dei molti nuovi dati emersi nella recente mostra dell’Archivio di Stato attorno ai documenti di Caravaggio.
Molti non sono d’accordo. Non è d’accordo, ad esempio, Maurizio Calvesi, che ha visto il dipinto al computer traendone un’impressione sfavorevole. Molti altri sono, invece, favorevoli. Citiamo solo Vincenzo Pacelli (lo scopritore del Martirio di S. Orsola di Caravaggio) e Anna Lo Bianco, direttrice di Palazzo Barberini, la quale ha apprezzato gli aspetti documentari. Poi, ci sono le analisi tecniche. Non solo lo Studio Hamilton Kerr di Cambridge, ma anche specialisti italiani della diagnostica artistica come Claudio Falcucci hanno riscontrato elementi molto significativi che fanno attribuire il dipinto a Caravaggio. In particolare, sarà rilevante il parere di Marco Cardinali e Maria Beatrice De Ruggieri perché sotto la direzione della soprintendente Vodret hanno da poco completato esami diagnostici molto approfonditi di ben 22 opere autografe di Caravaggio.
C’è molto rispetto delle opinioni diverse, e proprio per questo ci auguriamo che tutti possano parlare e discutere davanti al dipinto originale e alla luce dei dati (incontrovertibili) sinora emersi. Questo è un «quadro da stanza», le palpebre del santo sono abbassate per esprimere un’interiorità e una concentrazione ineffabili, i dettagli degli oggetti sul tavolo, l’uso della luce e delle ombre sono anch’essi elementi da valutare con attenzione. Il tipo di pentimenti, il risparmio della preparazione, il tipo di tela, vanno messi sulla bilancia. Non si può parlare così superficialmente di «bufala». Sgarbi può stare tranquillo: è solo una nuova proposta, ben documentata, che il Sole 24 Ore ha offerto tempestivamente. Tutto qui.