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 2011  giugno 14 Martedì calendario

CARO ECONOMIST, STAVOLTA TI SBAGLI

L’Economist si sbaglia. Berlusconi ha sì «f...o l’Italia», ma non per averne frenato la crescita. Ho calcolato la media aritmetica del tasso di crescita del Pil negli ultimi vent’anni, separatamente per i Governi di centro-destra e di centro-sinistra. È vero, sotto il centro-destra il Paese è rimasto in stagnazione, con una crescita media dello 0,1% all’anno, mentre sotto il centro-sinistra la crescita media è stata dell’1,4 per cento: una differenza apparentemente abissale, se composta su venti anni.

Ma un confronto corretto dovrebbe tener conto della situazione internazionale, e il centro-destra ha governato durante periodi (i primi anni duemila e ovviamente l’ultima recessione) in cui la crescita in tutto il mondo è stata molto più bassa. La differenza rispetto agli altri Paesi è stata pressoché identica sotto i due schieramenti (anzi, di pochissimo migliore sotto il centro-destra): in entrambi, l’Italia in media è cresciuta di circa l’1,1 % all’anno in meno degli altri Paesi Ue, l’1,2% in meno dei Paesi del G7, e l’1,4% in meno dei Paesi Ocse. Numeri disarmanti, ma bipartisan. E ci dicono che tendiamo a dare troppa importanza ai Governi; appena l’economia va bene, i sostenitori del Governo gli attribuiscono tutti i meriti; quando va male gli oppositori gli attribuiscono tutte le colpe.
In realtà, perché le riforme si riflettano in un miglioramento osservabile della crescita ci vogliono spesso anni. Un Governo, questo sì, può invece rovinare facilmente e velocemente un Paese, come sanno bene per esempio i cittadini di Venezuela e Zimbabwe. Ma fortunatamente nella seconda Repubblica abbiamo avuto ministri dell’Economia competenti che hanno almeno evitato grossi disastri: questa è una differenza rispetto agli anni Settanta e Ottanta di cui spesso non ci rendiamo conto.
Duque la vera eredità negativa di Berlusconi non è stata l’economia. La prima eredità è stata aver riportato indietro il dibattito sociale di trent’anni. Berlusconi ha confermato e anzi rafforzato l’avversione che la maggioranza degli italiani, di destra e di sinistra, prova istintivamente per il mercato. Ha rafforzato l’innata convinzione di molti che tutte le riforme siano una congiura dei ricchi contro i poveri.
La seconda eredità di Berlusconi è di aver infangato la nozione di «competenza». Per decenni l’Italia era stata governata da politici di professione che potevano parlare per cinque ore di «convergenze parallele» mentre il Paese affondava. È comprensibile che qualcuno abbia sperato in un cambiamento: un manager abituato a risolvere problemi concreti e capace di parlare direttamente alla famosa casalinga di Voghera. Ma Berlusconi ha creduto che per governare bastasse annunciare l’abolizione dell’Ici sulle prime case tre giorni prima delle elezioni, o mettere il primo mattone di un Ponte sullo Stretto che fortunatamente non ha i soldi per costruire, oppure ancora annunciare un nuovo Piano Casa ogni due anni, senza aver idea di come attuarlo. E oggi crede veramente che per rimediare a una sconfitta basti l’«annuncio bomba» del passaggio di alcuni uffici ministeriali da Roma a Milano.
La terza eredità di Berlusconi è il senso di umiliazione inflitto a molti cittadini, in nome di un anticomunismo ormai patologico che sembra giustificare qualsiasi nefandezza. L’umiliazione di una legge elettorale medievale che impedisce ai cittadini di esprimersi, utilizzata dal satrapo per fare eleggere servitori senza dignità e ragazze palesemente spaesate, mentre le famiglie italiane tentano di convincere i propri figli che studiare è importante. L’umiliazione di vedere i giornalisti di cinque telegiornali, alcuni pagati dal contribuente, intervistare il capo leggendo tremebondi le domande scritte da lui.
Infine, la quarta eredità di Berlusconi è aver rovinato l’immagine dell’Italia all’estero, come sa chiunque parli con degli stranieri. Alla lunga, un Governo senza una guida competente viene inevitabilmente percepito come tale nei consessi e nelle relazioni internazionali. La conseguenza è che questi anni hanno confermato negli stranieri gli stereotipi peggiori sull’Italia (con le dovute eccezioni di alcuni ministri che avrebbero meritato un Governo migliore): improvvisazione, inaffidabilità e faciloneria, il tutto condito con barzellette, spaghetti e mandolino.
Di fronte a tutto questo, caro Economist, l’economia è solo la punta dell’iceberg.