Giovanni Vegezzi, Il Sole 24 Ore 15/6/2011, 15 giugno 2011
I «PAPERONI» ITALIANI PREFERISCONO I BOT
Una ricchezza di quasi 900 miliardi di euro che può essere messa al servizio della crescita economica e della stabilità del paese. La ricerca presentata ieri dell’Aipb, l’Associazione italiana private banking, rivela che i patrimoni delle 611mila famiglie di "paperoni" italiani (quelli con ricchezza finanziaria superiore ai 500mila euro) hanno raggiunto nel 2010 quota 896 miliardi. Una cifra che, secondo l’ufficio studi dell’associazione, è in grado di controbilanciare il debito pubblico italiano detenuto dagli investitori esteri e dare liquidità e stabilità al sistema bancario ed imprenditoriale.
Certo, con una buona parte dei clienti private che si sente più risparmiatore che investitore, la sfida verso la promozione del capitale di rischio è ancora aperta: «La nostra attività è finalizzata ad avvicinare il mondo dei clienti all’economia reale. Lavoriamo perché i capitali siano rimessi nel circuito produttivo» ha spiegato il segretario generale di Aipb Bruno Zanaboni. Attualmente la quota di investimenti azionari presenti nei portafogli dei "paperoni" nostrani si ferma all’11,3% (14% la media europea), mentre la parte del leone è fatta dalle obbligazioni e dai titoli di stato con un 48%, più del doppio del dato continentale. «Occorre mobilizzare patrimoni privati con nuove forme di finanza per lo sviluppo, con rischi e vantaggi condivisi e suddivisi tra imprese, banche, grandi investitori e famiglie - ha continuato Zanaboni - Uno dei nostri obiettivi rimane quello di portare l’investitore verso la Borsa, da noi un mercato ancora un po’ asfittico».
In questo percorso di accompagnamento dei grandi risparmiatori italiani, il private banking sta incontrando un crescente successo: la quota delle masse gestite dall’industria è cresciuta nel 2010 del 6,8% toccando quota 47% sul totale dei patrimoni potenziali, e nel primo trimestre di quest’anno ha messo a segno un ulteriore aumento dell’1,5%.
La ricchezza in mano ai private banker ha superato così quota 421 miliardi di euro, rappresentando per il sistema bancario un’ampia provvista di liquidità poco sensibile alla volatilità dei mercati; un patrimonio - rileva l’Aipb - che contribuisce a migliorare la resistenza del sistema grazie alla costanza dei flussi generati, diminuendo la necessità di patrimonializzazione richiesta da Basilea3. Si tratta di un effetto positivo non destinato solo gli istituti specializzati: la parte del leone nel private banking è giocata, infatti, dalle grandi banche commerciali che vantano una quota di mercato superiore al 60 per cento.