Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 15 Mercoledì calendario

NORD E SUD DIVISI DAL CAROVITA

Come si calcola la ricchezza di una famiglia? E, soprattutto, come è formata la ricchezza reale di un Paese? Chi è povero? Chi è ricco? Dove e perché? Il problema metodologico, che taglia in maniera trasversale la ricerca sociale, economica e storica, è il cuore dell’analisi di lungo periodo raccolta nel volume In ricchezza e in povertà. Il benessere degli italiani dall’Unità ad oggi. Un lavoro complesso, pubblicato dal Mulino e sostenuto finanziariamente da Abbott, che viene presentato in forma privata oggi al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Il capofila è Giovanni Vecchi, 43enne docente di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata. Società ed economia, politica e comportamenti. Gli individui e i corpi collettivi. Per offrire una lettura unitaria di dimensioni tanto molteplici, in questa occasione è venuta in soccorso una novità analitica tutt’altro che irrilevante: i bilanci di famiglia. Sono stati compulsati 20mila bilanci appartenuti ad altrettante famiglie italiane. Una vasta opera di ricerca, storica ed economica ma anche di costume, durata 17 anni. I bilanci sono stati raccolti nelle case private degli italiani e negli archivi d’impresa, nelle inchieste parlamentari e nei tribunali, nelle parrocchie e negli uffici comunali. Questi bilanci sono stati riclassificati, così da rendere comparabili quelli che appartengono a diverse parti del Paese: un nuovo indicatore insieme individuale e collettivo, utile per misurare le diversità che da sempre caratterizzano la nostra realtà nazionale multiforme e frastagliata. «A tale miniera - spiega Vecchi - sono state aggiunte le fonti ufficiali dell’Istituto nazionale di statistica e della Banca d’Italia». Usando questa nuova fonte, si è creato un gigantesco aggregato che fornisce, con un’analisi lunga 150 anni, letture nuove di temi complessi come la povertà assoluta e la diseguaglianza dei redditi. Questioni economiche e civili che saranno al centro della discussione del convegno organizzato con Il Sole 24 Ore il 21 giugno a Roma. Nodi interpretativi della storia italiana, ma anche spunti con cui i policy maker non possono non misurarsi. Come quello del costo della vita. Il gruppo di ricerca, per la prima volta, ha calcolato l’evoluzione del costo della vita italiano nel tempo, disaggregando i dati per aree geografiche. Un lavoro mai compiuto prima, che per ora si limita al secondo dopoguerra (dal 1947 a oggi) e al Ventennio (dal 1922 al 1938). Questa ricostruzione, che applica a lungo raggio i risultati puntuali di un precedente studio di Luigi Cannari e Giovanni Iuzzolino della Banca d’Italia, prefigura una sorta di "storia del carovita", che sarà completata non appena il gruppo di Vecchi avrà modo di confrontarsi, applicando i suoi modelli econometrici di lungo periodo alle statistiche fredde e ufficiali o informali e tutte da rielaborare come i bilanci di famiglia, con l’età della giovane Italia, dal 1861 alla Grande guerra.

Grazie a questo metodo elaborato da Vecchi insieme al ricercatore di Tor Vergata Nicola Amendola, che unisce la ricerca di archivio più classica con la statistica più matematizzante, si è ottenuto un nuovo indice del costo della vita del Centro-Nord e del Sud. «Peraltro - dice Vecchi - non è chiaro quali siano gli ostacoli che abbiano finora impedito alla ricerca e alle istituzioni pubbliche di produrre deflatori che permettano di cogliere le differenze fra le diverse aree del Paese. Se la World Bank mi manda come economista in missione in un qualunque Stato, immediatamente l’istituto locale di statistica mi fornisce o il deflatore stesso o gli elementi con cui costruirlo».

Da questa analisi risulta che, fatto 100 l’indice italiano, nel 1947 il costo della vita al Centro-Nord era pari a 105, mentre al Sud era di 94. Dopo una iniziale convergenza che ha la sua massima intensità verso il 1961, quando il costo della vita è intorno a 103 al Centro-Nord e 96 al Sud, si profila una divaricazione graduale e costante fino all’attuale 106 e 88. Durante il Fascismo, la dinamica non è troppo dissimile. Fissati a 100 i prezzi medi nazionali, il costo della vita è pari a 104 al Centro-Nord e a 93 al Sud. Nel 1938 è pari a 106 e 91 punti. Costo della vita che, oltre agli alimentari, contempla anche le spese per la casa e per i vestiti, l’educazione e i diversi servizi alla persona.

In questa ideale storia del carovita, un punto di vista interessante, per un Paese che nell’800 e nel 900 è uscito con energia ma anche fatica dalla povertà contadina approdando a uno sviluppo ancora tutto da decifrare nella sua natura vera o presunta di progresso, è quello che riguarda il cibo. L’indice spaziale dei prezzi dei generi alimentari mostra come, dai dieci punti scarsi di differenziale fra Centro-Nord e Sud del 1951 (103,7 contro 94), si è passati ai sedici del 1991 (106 contro 90) e ai tredici di quest’anno (104,8 a fronte di 91,6). Ed è proprio attraverso la lente dell’investimento più elementare e primitivo, quello dell’alimentazione, che si scorge l’esistenza di diversità, nel tessuto sociale ed economico. Non soltanto, a livello di prezzi, fra Nord e Sud. Ma anche fra Nord e Nord e fra Sud e Sud.

Le isole, per esempio, nel dopoguerra avevano un indice di prezzo dei generi alimentari pari a 99,5 punti e, sessant’anni dopo, sono scese a 93 punti. Il Sud, senza le isole, è passato da 91,5 a 90,7. Il Centro ha subìto una rilevante flessione relativa, da 106 a 97,5. Il Nord-Ovest è rimasto costante: da 107 a 108 punti. E il Nord-Est, l’area italiana che è cresciuta con maggiore forza nel secondo dopoguerra, ha visto anche l’indice dei prezzi dei suoi generi alimentari lievitare, passando da 97,7 punti a 107,9 punti. Fotografie in movimento di un’Italia che, nei suoi 150 anni di vita, è sempre stata vitale e contraddittoria, articolata e complessa. Immagini nuove, essenziali nella riflessione intellettuale sulla storia nazionale e utili nella elaborazione delle politiche per il Paese che verrà.