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 2011  giugno 11 Sabato calendario

VIAGGIO NEL TUNNEL PIU’ LUNGO DEL MONDO

Nella montagna gli uomini prendono vita. Li vedi fuori, nell’accampamento di Faido e sembrano spaesati, circolano svogliatamente da una baracca all’altra con dei progetti in mano, si scambiano poche parole e pensi che siano immusoniti per la pioggia o per quell’umore eternamente autunnale che ti mettono dentro i monti svizzeri. La questione invece è che gli manca il Grande Buco: come i marinai non vedono l’ora di stare sul mare alto, così gli uomini delle gallerie sono a loro agio solo nelle trippe della Terra.
Prendete ad esempio l’ingegner Mauro Tarca: prima di imboccare il tunnel pare muto e apatico, poi, una volta passato il chek-point dove mi fanno lasciare il numero di telefono di un parente, allarga un bel sorriso, mi da una pacchetta sul ginocchio, ingrana pimpante la prima e sgomma dentro la montagna, nel massiccio del San Gottardo, il suo mondo. «Sopra di noi ci sono oltre duemila metri di roccia» dice raggiante, facendo gli onori di casa. Qui sotto sono tutti espansivi; anche se parlano tedesco o italiano, tra di loro s’intendono nel linguaggio del sottosuolo, fatto soprattutto di gesti collaudati nel tempo, derivati da lunghe convivenze e dalla necessità di capirsi nel rumore incessante delle macchine. E forse è anche quest’arietta tiepida, strano ponentino delle profondità, a sedurre subito e a farti dimenticare in fretta l’altra vita lassù. Anche i numeri, raccontati dai protagonisti dell’impresa - il tunnel ferroviario di 57 chilometri, il traforo più lungo del mondo - non fanno tanto pensare alla precisione svizzera, ma sembrano il loro modo per scandire i giorni, i mesi, gli anni. «In 14 anni abbiamo scavato 950 chilometri» dice l’ingegnere. Infatti, oltre alle due gallerie dei binari dell’alta velocità per merci e passeggeri distanti 40 metri tra loro, ci sono i pozzi per la ventilazione e i tunnel di collegamento per le uscite di sicurezza e la manutenzione, uno ogni 314 metri. Per bucare come un Emmenthal il massiccio e collegare la ferrovia da Nord a Sud, da Sedrun(Grigioni) a Faido (Ticino), sono stati impiegati 2.500 uomini, tra ingegneri, geologi, operai e minatori, di otto nazionalità e sono stati estratti 24 milioni di tonnellate di materiale, un volume pari a quattro volte la piramide di Cheope - «detriti in gran parte riciclati per la malta, ma anche per colmare vecchie cave della regione» spiegano: «Guardi che ci teniamo all’ambiente anche noi, non siamo "talpe" insensibili». E i costi? Secondo preventivo: 18 miliardi di euro, il quadruplo del ponte di Messina. E, sottolinea Mauro Nicastro, ticinese di 33 anni, responsabile dei lavori di avanzamento «senza nessun indebitamento». Perché l’opera è stata finanziata da una serie di tasse straordinarie sui carburanti e da una imposta sul transito dei mezzi pesanti, come deciso con alcuni referendum nazionali. Di fatti, quando nel San Gottardo i merci sfrecceranno a 160 chilometri l’ora, dalle strade elvetiche verranno eliminati 800 mila camion al giorno.

Numeri eccitanti. ma non quanto gli imprevisti. Sembrano essere le sorprese l’adrenalina che motiva questa tribù underground. «Si possono fare tutti i carotaggi, le trivellazioni e le proiezioni sismiche che si vogliono» dice Nicastro «ma alla fine è sempre un rebus: i tipi di roccia cambiano a ogni metro. È più facile studiare la superficie della Luna con un buon telescopio che stabilire cosa c’è nei due chilometri sotto i nostri piedi. Quindi, non sappiamo mai bene cosa ci aspetta dopo trenta centimetri: sabbia, acqua, granito?». Ma ora che hanno finito di scavare (il diaframma della seconda galleria è caduto in marzo) ed è cominciata la lunga fase delle infrastrutture, sembrano avere nostalgia dell’incognito: come quando al chilometro 25 in direzione Nord e mentre lo scavo in direzione Sud era terminato, si sono imbattuti in una faglia di ghiaia a quattro chilometri dalla meta: «Abbiamo dovuto bloccare la Gabi per cinque mesi». Gabi, come Sissi e Talpa, sono le frese da tremila tonnellate, che procedono come lombrichi giganti e capaci di bucare 12 metri di montagna al giorno. Oppure come quando la roccia ha iniziato a sputare fino a 90 litri d’acqua bollente al secondo:«L’abbiamo imbrigliata e ora servirà a scaldare le case di Faido».

Tra sei anni a Chiasso arriverà un merci ogni due minuti. In teoria nel 2017 si potrebbe schizzare da Zurigo a Milano in due ore e mezza, un’ora in meno di oggi. Peccato che appena sotto Lugano, l’orologio torni indietro di diversi anni. Fuori dal Buco, brutte notizie. L’Italia, nonostante la promessa di investire sette miliardi nell’adeguamento delle linee merci, non ha neanche messo mano alle vecchie tratte verso la Svizzera. Il rischio è il "collo di bottiglia" a Sud. «Se l’Italia non rispetta gli impegni» mi dice Andreas Windlinger dell’Ufficio federale dei Trasporti «il nuovo Gottardo sarà inutile». Un deputato ticinese la mette così: «Noi abbiamo una pista di Formula Uno, ma per accedervi voi italiani avete ancora una mulattiera». E Oliviero Baccelli, direttore del Master in Economia della Bocconi conferma: «La principale tratta per i merci, quella via Luino, è praticamente un viottolo». E spiega cosa vuol dire perdere il treno "svizzero", cioè non fare la nostra parte nel cosiddetto Corridoio 24 del trasporto merci, quello che avvicinerà il Nord al Sud Europa, che dovrebbe collegare l’Italia con le aree industriali della Renania e con i porti del Mare del Nord di Rotterdam e Anversa: «Stiamo parlando della spina dorsale d’Europa, la cosiddetta "Banana Blu", quella dorsale economica che va proprio da Rotterdam a Genova».
Dal lato italiano, dice Baccelli, molte idee, zero fondi, nessun cantiere.