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 2011  giugno 15 Mercoledì calendario

«Ecco l’inedito con Battisti Parlava già di immigrati» - Si ferma un po’, ci pensa su:«Questo è di sicuro l’inedito più importante tra quelli che ho scritto con Lucio Battisti»

«Ecco l’inedito con Battisti Parlava già di immigrati» - Si ferma un po’, ci pensa su:«Questo è di sicuro l’inedito più importante tra quelli che ho scritto con Lucio Battisti». Una rivelazione. Mogol si illu­mina. Dopo trent’anni ha deci­so di consegnarlo ufficialmen­te a­lla storia della nostra canzo­ne d’autore: «Voglio depositar­ne il testo alla Siae», annuncia (lo pubblichiamo qui a fianco). L’inedito si intitola Il paradiso non è qui , sembra scritto l’altro giorno e un emozionato Ron l’ha interpretato qui ieri sera durante il Premio Mogol. Un brano sugli italiani quand’era­no emigranti, con un paio di versi che sono un urlo dispera­to e lontano: «Cosa ho fatto Ma­ri, ho paura di averti perso, scri­vi per carità». Quando la cantò nell’unico provino rimasto (c’è anche in rete), Battisti aveva la voce incrinata. Ma da allora su questa canzone c’è solo neb­bia, molte supposizioni (avreb­be potuto cantarlo anche Bru­no Lauzi) e nessuna certezza. Il paradiso non è qui non è mai stato inciso, anche se è stato lì lì per finire nell’ultimo album che il più importante autore della musica popolare italiana ha scritto con Battisti, Una gior­nata uggiosa . Invece niente, tutto sfumò all’ultimo e pecca­to: avrebbe potuto essere un grande successo ed è diventato soltanto un grande mistero. Caro Mogol, che cosa ac­cadde esattamente? «Dopo aver ascoltato la musi­ca di Lucio, avevo scritto que­sto testo. Facevo sempre così: prima la sua musica e poi le mie parole. E a lui era piaciuto molto ciò che avevo scritto. Pensava di inserirlo nell’al­bum Una giornata uggiosa ». Poi però non lo incise. «Mi disse che c’erano già troppe canzoni in scaletta e che l’avremmo tenuto per l’al­bum successivo. Ma quello fu il nostro ultimo disco insieme». Non ne avete più parlato? «Mai più. E la moglie di Batti­sti, che è l’erede, non ha mai pubblicato la musica». Mogol vuole fare un appel­lo? «Assolutamente no, sarebbe del tutto inutile. Oltretutto non la vedo da quasi vent’anni». Quindi? «Credo che depositerò il te­sto, che è mio e quindi posso farlo. Chiederò consiglio alla Si­ae ». Battisti cosa ne pensereb­be? «Penso che sarebbe d’accor­do. Ma è una mia libera inter­pretazione ». Lei potrebbe però dare il testo a qualche altro inter­prete. «Non lo farei mai, sarebbe una speculazione. Ho scritto quelle parole per quella musi­ca, non per altre. Oltretutto è una musica bellissima, con ra­dici etniche. Ma se l’erede di chi l’ha composta non la depo­sita… È una sua scelta». Il paradiso non è qui è la storia di un emigrante in un paese di lingua inglese dove il vino costa caro e le donne sono senza memo­ria. Ha perso la sua terra. E ha paura di perdere an­che il suo amore. «Sente più vicino le tradizio­ni, la famiglia e capisce che la migrazione è stata un sacrificio troppo grande». Oggi l’emigrazione è di cla­morosa attualità. «Ma la situazione è totalmen­te opposta rispetto a quando ho scritto quel testo. Il “mio” emigrante sta male dov’è e vuo­le ritornare nella sua patria. Gli emigranti di oggi sognano di non farlo e non mi pare che, in linea di massima, si trovino co­sì male qui in Occidente». Occhio, è un tema delica­to. «Dovremmo aprire le nostre porte solo quando siamo in gra­do di offrire lavoro, sicurezza e sanità.È ovvio che se l’immigra­to non trova un impiego, ri­schia di andare fuori legge. For­se dovremmo favorire gli inve­stimenti, e quindi l’occupazio­ne, nei loro paesi d’origine». Corsi e ricorsi. Qua­rant’anni fa le Mogol Batti­sti erano spesso stronca­te. La critica esaltava altri brani, spesso politicizzati, che però ormai il pubblico ha quasi dimenticato. In­vece oggi anche i bambini canticchiano le vostre can­zoni. «Abbiamo subito pressioni fortissime. Diciamo che allora andava di moda fare canzoni politiche». Chi non le faceva, non face­va cultura. «Ma il mondo è sempre stato pieno di imbecilli colti». Ma perché non avete segui­to la moda? «Semplicemente perché non volevamo fare canzoni speculative». Sono quelle che non resi­stono al tempo che passa. «Allora se eri neutrale venivi considerato un qualunquista». Peggio, vi consideravano di destra, persino fascisti. «Spesso la gente comprava i nostri dischi e chiedeva un sac­chetto doppio pe­r non far capi­re per strada che erano di Batti­sti ». Roba da matti. Però tanto vi ascoltavano tutti, anche gli estremisti. «Nel covo delle Brigate Rosse di via Gradoli hanno trovato la collezione completa delle no­stre canzoni. Solo le nostre, mi­ca quelle di altri».