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 2011  giugno 15 Mercoledì calendario

LE FONDAZIONI BANCARIE OGM

Tra le banche che hanno bisogno di nuovi capitali e le fondazioni che vogliono mantenere la propria influenza, il ministro Tremonti rafforza il proprio potere sul mondo bancario, ma introduce pericolose novità nel sempre tormentato rapporto fra banche e fondazioni: perché si autorizzano operazioni non prive di pericoli, in quanto aumenta il rischio finanziario in capo alle fondazioni, a scapito delle erogazioni future. Perché risulta ancora più ambigua la natura economica di questi enti, che fin dalla nascita erano stati definiti “ircocervi”, animali mitologici a metà fra il caprone e il cervo. Mica male come effetti collaterali di un’operazione di ricapitalizzazione il cui obiettivo, principale e meritorio, è quello di rendere le banche più robuste e capaci di servire gli interessi della clientela.
L’ATTENZIONE è oggi puntata su Siena, da sempre uno dei casi più tipici di intreccio fra fondazioni, banca e società, imperniato su un’orgogliosa difesa del localismo e su un totale controllo del potere. La banca ha annunciato un cospicuo aumento di capitale da 2,5 miliardi, che il mercato ha salutato decretando un tonfo del titolo del 15,5 per cento in un mese. Come risposta, la fondazione senese: a) rinuncia a vendere i pacchetti di azioni di Mediobanca (1,9 per cento del capitale) e di Banca Intesa (0,42); b) vende azioni privilegiate della banca e le trasforma in azioni ordinarie; c) non aderisce all’Opa sui titoli subordinati emessi a suo tempo dalla banca, sempre per trasformarli in azioni; d) si indebita per sottoscrivere l’aumento di capitale e mantenere la propria quota sopra la soglia del 50 per cento. Da questa complessa operazione le domande sorgono spontanee e copiose. La prima: quale logica ha spinto una fondazione con un patrimonio già pesantemente concentrato nel settore bancario ad investire in altre aziende di credito? I principi elementari di diversificazione avrebbero imposto di scegliere tutt’altri settori, per proteggere la redditività del patrimonio. L’unica risposta possibile è che si voleva partecipare al salotto buono della finanza, dove già sono presenti alcuni soci di riferimento della banca, a cominciare dall’onnipresente Caltagirone, anche con la nomina di un consigliere di amministrazione nel prestigioso istituto di Piazzetta Cuccia. Questo biglietto di ingresso è stato pagato a caro prezzo perché il valore dei due pacchetti si è più che dimezzato e la minusvalenza ai prezzi di oggi ammonta a ben 200 milioni. Seconda domanda: perché convertire le azioni privilegiate in ordinarie, rinunciando alla protezione offerta da questo titolo e che vale, misurata dalla differenza fra i prezzi, il 4,9 per cento? Moltiplicato per il numero delle azioni, si tratta di 117 milioni; in altre parole, per fare cassa la fondazione decide di monetizzare la garanzia del trattamento preferenziale nella distribuzione degli utili, dunque di rendere il proprio portafoglio un po’ più rischioso. Analoghe considerazioni valgono per la mancata adesione. Terza domanda: ha senso che una fondazione si indebiti per comprare azioni? Va detto che la crisi ha costretto tutte le banche ad aumentare il proprio capitale ed è bene che gli azionisti storici, in particolare le fondazioni, siano disposti ad agevolare questo importante passaggio. Ma se ciò comporta l’assunzione di debiti, perché la cassa è vuota, siamo di fronte a un rischio non indifferente e soprattutto a un mutamento genetico della fondazione.
Il rischio è dato dal fatto che la fondazione paga un tasso di interesse a fronte di un rendimento delle azioni che in termini di dividendi è del 3,23 per cento. L’onere finanziario dopo tasse è probabilmente inferiore e il conto economico della fondazione non ne risente, ma questo significa che una parte della convenienza dell’operazione è a carico del contribuente, cioè di tutti noi. Ma soprattutto, se in futuro questo rendimento si abbassasse (anche perché aumenta il numero di azioni da remunerare) l’operazione porterebbe a un costo netto e quindi a una diminuzione dei proventi da usare per le erogazioni. L’indebitamento agisce come una leva, amplificando risultati positivi e negativi e dunque aumenta il rischio finanziario della gestione di qualsiasi soggetto. Il punto è che, sulla spinta dell’esempio senese, altre fondazioni premono per essere autorizzate ad indebitarsi. Se questa soluzione si generalizzasse, si formerebbe una singolare e inquietante catena in cui la banca A finanzia la fondazione B, mentre la banca B finanzia la fondazione A per restituire il favore. Ed evidentemente, come in amore, si possono immaginare soluzioni ancora più articolate, dal triangolo in su. Un girotondo vagamente surreale, al centro del quale ci sarebbe il ministro dell’Economia ad autorizzare le singole operazioni e a dirigere il traffico.
L’INDEBITAMENTO poi complica ulteriormente la natura delle fondazioni, enti che assommano la funzione di erogatori per scopi di pubblica utilità a quella di investitori in un portafoglio di partecipazioni e altre attività. Ma quest’ultima funzione non è completamente assimilabile a quella degli investitori istituzionali, perché diversamente da fondi comuni e fondi pensione, le fondazioni non rispondono direttamente del loro operato ai risparmiatori. Ora aggiungono la possibilità di ricorrere all’indebitamento, come fanno solo gli investitori istituzionali che cercano più attivamente il rischio finanziario, come gli hedge funds o gli operatori di private equity. Insomma, è come se all’ircocervo spuntassero le branchie: un mostro genetico senza precedenti. In definitiva, per garantire alle fondazioni di mantenere il controllo assoluto come nel caso senese (caso ormai unico in Italia) o comunque di non ridurre il loro potere nelle altre grandi banche, si rischia di indebolire nel lungo termine le fondazioni, consentendo loro di rendere la gestione finanziaria più rischiosa e dunque riducendo la loro capacità di erogare fondi in favore di opere di utilità sociale (una funzione sempre più importante, quanto più si riduce la spesa pubblica). E non vale obiettare che il ministero porrà limiti precisi all’indebitamento. Non si può essere solo un pochi-no speculativi, per gli stessi motivi per cui una fanciulla non può essere solo lievemente incinta.