Giampaolo Pansa, Libero 15/6/2011, 15 giugno 2011
SE SI RITIRA, IL CAV SALVA IL PDL
Stanno sparando su un Cavaliere morto. Il defunto, dal punto di vista politico, lo sanno tutti chi è: Silvio Berlusconi, un premier agli sgoccioli, l’ombra di se stesso. Ma i suoi avversari, quelli del TTB, Tutti tranne Berlusconi, non hanno smesso neppure per un istante le vecchie usanze. Lunedì pomeriggio e ieri, dopo la straripante vittoria del sì nei referendum, hanno dato addosso al Cavaliere come se a trionfare fosse stato lui. E si accingesse a proclamare l’inizio della sua dittatura.
Ho visto alla tivù spettacoli grotteschi. Come quello di Eugenio Scalfari che nel salotto della Gruber approfittava della circostanza per fare un po’ di pubblicità alla sua operetta sull’Eros. Poi ho letto sui giornali esternazioni e interviste surreali partorite dagli avversari del Cavaliere. Mi ha colpito, sul Corriere della sera, il titolone di un’intervista a Enrico Letta. Strillava, niente meno: «È la presa della Bastiglia».
Ma tutto questo è soltanto ammuina, come dicono a Napoli, per indicare una confusione chiassosa. Anche la richiesta di Pierluigi Bersani e di altri tipi sinistri («Dimissioni di Berlusconi ed elezioni subito») fa parte di una sceneggiata obbligatoria. Per ora, le tante sinistre non vogliono nessun ricorso alle urne. Non hanno ancora trovato un leader né un sistema di alleanze. Non sanno se dovranno stringere un patto con Pierferdinando Casini oppure con Nichi Vendola. Di conseguenza, non possiedono un programma. Urlano, ma prendono tempo. Per un motivo che a me sembra molto chiaro: più tempo avranno, più la vittoria sarà vicina.
Può apparire un paradosso, visto lo stato comatoso del centrodestra e, soprattutto, del suo leader. Ma non è per niente così. Quanto è accaduto nel 2010 e in questo scorcio di 2011 ci ha rivelato la crisi profonda, politica e personale, di Berlusconi. Il Cavaliere non è più il leader del 1994. Sbaglia una mossa dopo l’altra. È messo alle corde da una serie di eventi sfortunati.
Cito soltanto quelli degli ultimi mesi e quelli prossimi venturi. Il crac d’immagine dei festini di Arcore con un plotone di escort strapagate. Il disdoro che ne è derivato. L’avvio di una serie di processi. La sconfitta nelle amministrative di Milano e Napoli. La batosta dei referendum. Le frizioni con la Lega. E il siluro in arrivo: il risarcimento colossale che dovrà versare al nemico di sempre, l’ingegner Carlo De Benedetti.
Neppure un Superman installato a Palazzo Chigi potrebbe resistere a una simile coalizione di disgrazie. Non ha importanza che siano giustificate o meno. Quando arriva un terremoto o uno tsunami, nessuno si domanda perché Madre Natura o il Padreterno ce l’abbiano scagliato addosso. L’unica mossa giusta è proteggersi e cercare di attenuare i danni.
È l’esatta situazione in cui si trova Berlusconi. Oggi, a metà del giugno 2011, il suo imperativo è uno solo: difendere il centro-destra e il proprio partito. Esiste un unico modo per riuscirci. Il Cavaliere deve preparare una transizione rapida e poi lasciare il campo, ossia dimettersi. Sarà questa la sua ultima magia. Può farcela soltanto lui e nessun altro tra i capi e i sottocapi dell’area moderata-liberale, Lega compresa.
Che cosa significa transizione? Vuol dire individuare un nuovo leader per il governo, proporlo al Pdl e agli alleati, affiancarlo nell’ascesa al vertice e insediarlo. I candidati giusti ci sono. Il Cavaliere li conosce meglio di me. Giulio Tremonti mi sembra il successore naturale. A Silvio non piace per un’infinità di motivi, politici e umorali? Ne indichi un altro. Vuole Angelino Alfano? Decida per Alfano. Vuole un terzo? Vada per questo signor X o signora Y. Ma si sbrighi a scegliere. Senza perdere un minuto.
Le sinistre hanno ancora del tempo. Berlusconi non ne ha più. Sotto la pelle dell’Italia si sta muovendo un sisma che non si vedeva da anni: un fastidio enorme per i partiti di oggi, per la politica com’è oggi. Considerata da milioni di italiani un’oligarchia di marmo immutabile, una sfilata di facce sempre più logore, un concerto babelico di parole che perdono senso giorno dopo giorno.
Guai a non capirlo. Si rischia di restare sul ring nella condizione del pugile suonato: con i guantoni che non sanno più dove colpire, mentre suona l’ultimo gong.
Penso a questo ogni volta che vedo il Cavaliere in tivù. E lo scopro sempre più stanco. Bolso come un vecchio cavallo da corsa che non vince più. In preda alle bizzarrie fatali negli uomini anziani come lui, come me. Sapete chi mi ricorda? Certi ras comunisti dell’ultima Unione Sovietica. Non vorrei che Silvio diventasse una mummia, non molto diversa dal compagno Leonid Breznev.
Qualche lettore starà pensando che esagero. Però non è così. Nessun leader politico è eterno. I migliori sanno di avere a disposizione un ciclo temporale a volte assai lungo, ma non infinito. E riescono a prendere la decisione giusta di cedere il passo a un altro del proprio giro. Per garantire un ricambio tranquillo e impedire che la paralisi al vertice di un partito e di un governo faccia marcire la propria figura e pregiudichi il futuro dell’area politica che hanno creato.
Intestardirsi a rimanere in sella quando l’ultimo gong è suonato ha una sola conseguenza: offrire un pericoloso vantaggio agli avversari. Berlusconi forse non se ne accorge, però si sta comportando così. Ma in questo modo rischia di diventare la quinta colonna delle sinistre. Quella che prepara il terreno per la vittoria del nemico.
Ogni giorno che trascorre rinchiuso nel bunker di Palazzo Chigi, il Cavaliere si espone al pericolo di passare da un errore all’altro. Molti dei suoi gli chiedono uno slancio nuovo, un colpo di reni, un’altra magia, la riduzione delle tasse, il rilancio dell’economia, un’iniezione di fiducia che rianimi gli elettori del centrodestra. Vorrei sbagliarmi, ma Berlusconi non è più in grado di fare neppure una delle mosse che si vorrebbero da lui. E questa non è un’accusa, bensì la fotografia esatta del Cavaliere di oggi. Anche l’ultimo slogan di Bossi, «Cambiare o morire», stampato ieri sulla prima pagina della Padania, richiama Berlusconi alla sua responsabilità primaria. È quella di salvare il centrodestra, per non uccidere il bipolarismo e non lasciare che resti in campo soltanto l’ammucchiata delle sinistre. Il Cavaliere ci rifletta. E non chiuda la sua vicenda di leader politico con un gesto di rassegnato egoismo.