Pietro Saccò, varie, 15 giugno 2011
PREVIDENZA INTEGRATIVA, PER VOCE ARANCIO
«Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale»: lo scorso ottobre il Corriere della Sera ha attribuito questa frase al presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua. Lui ha sempre smentito di averla detta, ma il tam tam dei siti l’ha rapidamente rilanciata, traducendola spesso con «i precari non avranno la pensione».
Al di là delle esagerazioni, è vero che il passaggio del sistema previdenziale italiano dal regime retributivo (che lega l’importo della pensione all’ultima busta paga) a quello contributivo (che invece si basa sui contributi effettivamente versati) manterrà in equilibrio il sistema, ma rischia di offrire assegni forse un po’ scarsi ai futuri pensionati.
Fino a prima degli anni Novanta un sessantenne che andava in pensione con 40 anni di contributi da lavoro dipendente poteva contare su un assegno mensile pari al 77% dell’ultimo stipendio. Per un suo omologo del 2035 sarà invece del 58%, una quota che scenderebbe al 42% nel caso limite in cui fosse rimasto sempre precario. La “conversione” media (cioè il vaore dela pensione rispetto all’ultimo stipendio) dovrebbe comunque stabilizzarsi a qualcosa di più del 50% (dati calcolati dall’economista Felice Roberto Pizzuti nel Rapporto sullo Stato sociale 2011).
Chi pensa che mezzo stipendio non basti a garantirsi una vecchiaia abbastanza serena farà bene a organizzarsi per tempo, scegliendo di aderire a un programma di previdenza complementare. In questo modo potrà ottenere un secondo assegno capace di rendere economicamente meno brusco il passaggio dal lavoro alla pensione.
Le opzioni. Esistono quattro possibili tipologie di forme pensionistiche complementari.
1. I fondi pensione negoziali, fondi pensione “di categoria” che nascono dagli accordi tra i sindacati e le associazioni delle imprese.
2. I fondi pensione aperti, fondi previdenziali creati da banche, assicurazioni o società di risparmio, ai quali chiunque può aderire.
3. I piani individuali pensionistici di tipo assicurativo (chiamati anche Pip), forme pensionistiche complementari costruite sulle esigenze di un singolo cliente da imprese assicurative.
4. I fondi pensione preesistenti, cioè quelli che esistevano prima della riforma che ha modificato il sistema nel 1993.
Quale scegliere? Quando esiste, per i lavori dipendenti difficilmente può esserci una soluzione migliore del fondo di categoria. Se un dipendente aderisce al fondo pensione di categoria (che gli chiede un contributo obbligatorio e uno opzionale), la legge impone al suo datore di lavoro di versare anch’esso un contributo per il lavoratore, e questo a parità di condizioni. Per gli altri tipi di lavoratori (disoccupati compresi) non c’è una scelta migliore a prescindere. Per chi vuole una soluzione “semplice” i fondi aperti sono comunque la soluzione meno complessa.
I costi. È fondamentale verificare anche i costi delle diverse forme pensionistiche. Il Covip (la commissione di vigilanza sui fondi pensione) calcola una forma pensionistica complementare che costa l’1% in più rispetto a un’altra, a parità di quota versata per 35 anni possa dare una pensione complementare del 16% più bassa. Per aiutare gli italiani a fare la scelta giusta, il Covip impone ai fondi di presentare i loro indicatori sintetici di costo.
Come funzionano. Il meccanismo è sempre lo stesso. Il lavoratore versa periodicamente una somma al fondo di previdenza integrativa che ha scelto. Può essere una quota dello stipendio (o delle entrate, per gli autonomi) o una cifra fissa. I dipendenti possono versare nel fondo anche il loro trattamento di fine rapporto, cioè la vecchia liquidazione, che si calcola accantonando per ogni anno di servizio il 6,91% dello stipendio annuo. L’ammontare complessivo dei contributi versati nell’arco della vita lavorativa è il cosiddetto montante del piano di previdenza integrativa.
Gli investimenti. Il gestore del fondo pensione investe i contributi del cliente con particolari condizioni di prudenza imposte dalla legge (ad esempio deve diversificare gli asset e limitare le operazioni più rischiose). È possibile scegliere che tipo di linea di investimento si preferisce. Le opzioni tradizionali sono quattro:
1. azionario, che investe solo o quasi su azioni;
2. bilanciato, che punta a metà su obbligazioni e a metà sulle azioni;
3. obbligazionario, che predilige le obbligazioni;
4. garantito, che offre un rendimento minimo garantito o la restituzione del capitale versato.
Quale scegliere? La scelta dipende dalla situazione e dalla disponibilità al rischio di ognuno. I fondi azionari generalmente sono più volubili: offrono maggiori rendimenti se l’investimento va bene o peggiori perdite se va male. Quelli obbligazionari sono più stabili e quelli bilanciati sono una buona via di mezzo. I garantiti non avranno sorprese, né positive né negative. In genere è meglio essere più spericolati da giovani, sfruttando il fatto che, sul lungo periodo, di solito l’audacia paga, e più prudenti col passare dagli anni, quando non ci sarebbe più tempo per compensare eventuali cadute particolarmente brusche.
Il momento dell’incasso. Raggiunti i requisiti per la pensione obbligatoria, gli iscritti ai sistemi di previdenza complementare possono trasformare la loro posizione individuale in rendita, chiedendo cioè la restituzione del risparmio accumulato (e cresciuto i virtù degli investimenti) spalmata su più anni. E questa sarà la pensione complementare. È anche possibile ottenere immediatamente la restituzione di una quota di quel capitale, fino al 50%, riducendo ovviamente le rendite future.
La verifica. Per aiutare il futuro pensionato a tenere d’occhio la sua situazione ogni anno il fondo gli invia la Comunicazione periodica con le principali informazioni sullo stato dell’investimento, l’ammontare della posizione individuale, i contributi versati nel corso dell’anno, i rendimenti conseguiti e i costi effettivamente sostenuti. In molti casi queste informazioni sono sempre disponibili online.
Cambiare. Niente è irriversibile. Dopo due anni di adesione a un fondo si può chiedere di spostare la posizione maturata presso un’altra forma pensionistica complementare. Il trasferimento è un diritto e non può essere ostacolato o limitato. Ma meglio non abusarne: bisogna ricordarsi che questi sono investimenti di lungo periodo, cambiare idea per seguire le mode non è quasi mai un buon affare.
Nel glossario, fra l’altro:
Parasubordinato
Tipo di lavoro: una via intermedia tra il lavoro subordinato (dipendente) e il lavoro autonomo. Rientrano in questa fattispecie i contratti di collaborazione a progetto (e le cosiddette co.co.co.), le collaborazioni occasionali e le associazioni in partecipazione. «Sono i lavori precari per eccellenza, privi di molti dei diritti e delle tutele che hanno i lavoratori dipendenti (i contratti collettivi nazionali di lavoro e lo Statuto dei lavoratori non si applicano ai lavoratori parasubordinati)» (dal sito www.cgil.bg.it).
Montante previdenziale
Insieme dei contributi versati da una persona durante la fase di accumulo (accantonati cioè nell’intero arco della sua vita lavorativa) e rivalutati annualmente.