Luca Peretti, varie, 15 giugno 2011
CLOUD COMPUTING, PER VOCE ARANCIO
La scorsa settimana a San Francisco Steve Jobs in persona ha presentato iCloud, la nuvola targata Apple che dovrebbe rivoluzionare il nostro modo di usare il computer.
Cloud significa letteralmente nuvola e proprio a questo concetto, un insieme di dati dispersi come fossero una nuvola, rimandano i programmi di cloud computing.
«Pensiamo all’utilizzo classico di un personal computer: l’hardware (l’insieme dei componenti elettronici che fanno il pc) e il software, l’insieme dei programmi, sono legati a quella specifica macchina. C’è un qui e ora da cui non si scappa. Con il concetto di cloud l’accesso ai dati ma anche il software e persino l’hardware vengono liberati dai limiti del mondo fisico» (Paolo Ottolina, Corriere della Sera).
La tecnologia cloud permette di consultare e usare qualsiasi tipo di documento senza aver bisogno di chiavette usb, hard disk e archivi digitali. In pratica, di volta in volta si potranno comprare canzoni, noleggiare film, sfogliare libri elettronici, leggere i propri documenti come e quando si vuole. Anziché sul computer, i software vengono installati direttamente sulla rete, in una sorta di nuvola. I dati che fino a oggi si salvavano sui pc andranno a finire su giganteschi archivi digitali cui l’utente potrà accedere grazie al browser o a specifiche applicazioni: invece di archiviare la musica e i documenti sul computer di casa, li depositeremo direttamente su Internet.
Con iCloud, per esempio, una volta che si compra qualcosa nell’Apple Store, lo si può condividere su tutti i propri apparecchi e sincronizzarli in tempo reale. In più, dice Apple, «quando si apporta una modifica su uno dei dispositivi, gli altri vengono aggiornati in wireless quasi all’istante». Il tutto senza chiavette usb, hardisk o simili: i dati sono ovunque, perché conservati nella nuvola.
«Non dovrete neanche pensarci: funziona da solo, semplicemente» (Jobs).
Rinunciando a chiavette usb e a dispositivi mobili si risparmia spazio e si viaggia leggeri. Ma soprattutto, con la tecnologia cloud si possono creare archivi raggiungibili in qualunque momento.
Rispetto alle altre piattaforme di cloud computing, iCloud offre anche due servizi molto interessanti: iCloud Backup, che esegue ogni giorno il backup automatico dei dispositivi via wi-fi, e iCloud Storage, che serve ad archiviare i documenti e li trasferisce in automatico a tutti i dispositivi dell’utente. Importanti anche le novità per il rapporto con iTunes. Si potrà gestire online la propria musica senza uploadarla ma accedendo al database online di Apple. In più, anche la musica non acquistata su iTunes usufruisce degli stessi vantaggi grazie a iTunes Match (che costerà 24.99 dollari all’anno).
iCloud arriverà in autunno, gli utenti potranno iscriversi gratuitamente. La piattaforma include cinque giga di spazio di archiviazione gratuito per e-mail, documenti e backup, la musica, le app, i libri e Photo Stream non rientrano in questo limite di archiviazione.
I servizi “nuvola” non sono nati con l’ultima trovata Apple, esistono da tempo. In questo senso dropbox.com è senz’altro un esempio importante, e anche molti servizi di Google vanno nella direzione di un rapporto con internet sempre più forte a scapito di quello con il computer: insomma, si va verso un mondo post-pc. Mentre dropbox.com è un sistema di scambio di file pesanti online, il primo a parlare di cloud vero e proprio è stato Eric Schmidt, l’ex ad di Google, nel 2006. L’azienda di Mountain View con Gmail, Google Docs e Android ha permesso di accedere alla posta elettronica e ai documenti direttamente dallo smartphone. Anche Microsoft è entrata in questo settore con Azure, una piattaforma dedicata soprattutto alle piccole e medie imprese.
«Dopo dieci anni da quando abbiamo capito che il pc era il centro dello stile di vita digitale, dove archiviare foto, musica e film, adesso abbiamo capito che il Mac o pc è come un iPad: il vero centro si sposta in rete, nella nuvola, che è molto di più che un disco rigido su Internet» (Steve Jobs).
Il nuovo data center (cioè il “luogo” dove si conservano i dati) di Apple è a Maiden, Carolina del Nord: lì l’azienda ha investito oltre 500 milioni di dollari per rispondere al meglio alla domanda prevista di servizi iCloud gratuiti.
I nuovi servizi “nuvola” sembrano essere convenienti anche da un punto di vista economico. Secondo gli esperti di Microsoft la tecnologia cloud potrà creare in poco tempo più di centomila nuove imprese in Europa. In Italia, un quarto delle aziende entro la fine del 2011 adotterà soluzioni legate alla “nuvola”, per un giro d’affari che dovrebbe raggiungere i 280 milioni di euro (dati della società di ricerca Idc).
Tutto rose e fiori quindi? Scrive Angelo Aquaro sulla Repubblica: «Il mercato si aspetta sempre più. iCloud, per esempio, non comprende l’atteso servizio di streaming. Continueremo cioè a comprare le canzoni, non potremo abbonarci – come si fa con Rhapsody e Napster – per ascoltare quello che vogliamo. Qui l’accordo con le case discografiche sarebbe stato troppo oneroso. E Apple potrà anche avere la testa tra le nuvole: ma ha i piedi saldamente puntati per terra».
Poi ci sono rischi relativi alla sicurezza. Se c’è un blackout o qualche incidente ai server, può verificarsi che i servizi siano impossibili da raggiungere. Giuseppe Bottero sulla Stampa: «Non uno scenario apocalittico: ad aprile una scintilla nel quartier generale di Aruba, ad Arezzo, ha mandato in tilt migliaia di siti web e pochi giorni più tardi un attacco hacker contro la Sony ha messo in pericolo i dati personali (dal codice della carta di credito alle coordinate bancarie) di milioni di clienti». E la privacy? Anche qui i rischi sono ignoti, mentre, racconta sempre Bottero, ci sono anche problemi di censura: il potere, questa la tesi dell’attivista americano Richard Stallmann, «rischia di essere concentrato nelle mani di pochissimi grandi gruppi, in grado bloccare il ciberspazio per le voci scomode».
Un esempio di come l’uso di dispositivi legati alla nuvola può cambiare nella pratica la vita quotidiana: i medici dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma, che hanno una casella postale e un database in remoto cui possono collegarsi per interagire con i colleghi. Nei programmi c’è anche la possibilità di dotare ogni paziente di un’identità clinica digitale con tutte le informazioni sulla sua salute, accessibile in ogni momento da tutti gli ospedali collegati.