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 2011  giugno 15 Mercoledì calendario

IL CARROCCIO CHE ABBAIA MA NON MORDE

Tutto il mondo antiberlusconiano attende le prossime decisioni di Bossi come si potrebbe attendere la venuta di un messia. Si aspetta con ansia che la Lega «stacchi la spina» al governo, e faccia finalmente ciò che non sono riusciti a fare la sinistra, le toghe rosse e la stampa comunista (ossia tutte le toghe e tutta la stampa, secondo il parere di Berlusconi). Che sia domenica prossima a Pontida, oppure martedì in Parlamento, oppure ancora in qualche riunione ad Arcore o a Gemonio, non si sa. Ma che un’ora segnata dal destino stia per battere nei cieli della Padania, è dato per scontato.
La Lega divorzierà dal Cavaliere perché non ha nessuna intenzione di affondare con lui: questo è ciò che si pensa. E quella frase pronunciata l’altro ieri da Calderoli - «siamo stanchi di prendere sberle» alimenta le speranze. Le richieste di cambio di passo di Maroni, ancor di più.

Basterebbe però sfogliare le raccolte dei giornali per rendersi conto che certe uscite come quelle di Calderoli e Maroni hanno più o meno la stessa frequenza delle previsioni del tempo. Da mesi, non c’è praticamente giorno in cui non si registri qualche affondo contro il Pdl. I leghisti hanno minacciato di lasciare il governo per l’intervento in Libia; hanno annunciato «mani libere» alle elezioni amministrative; ne hanno dette di tutti i colori sulla campagna elettorale di Berlusconi a Milano. E così via.

Alle parole, però, non sono mai seguiti i fatti. Su tutte le questioni che stanno davvero a cuore al Cavaliere, i leghisti non hanno mai fatto mancare il loro appoggio. Hanno votato per salvare Caliendo e Cosentino; hanno votato il legittimo impedimento e si sono detti pronti a fare altrettanto sul processo breve; hanno votato perfino per trasformare Roma ladrona in Roma capitale.

La Lega ha confermato finora il vecchio proverbio secondo il quale can che abbaia non morde. E dunque c’è il fondato sospetto che anche questa volta tante attese potrebbero andare deluse. La Lega è certamente preoccupata per l’aria che tira, e ha capito che l’alleanza con Berlusconi non ha prospettive. Ma davvero è intenzionata a divorziare dal Cavaliere?

Almeno tre ragioni le suggeriscono di non farlo. La prima è di ordine pratico. La Lega è al governo con il Pdl in tre regioni - Piemonte, Lombardia e Veneto - che da sole valgono più di mezza Italia. Che ne sarebbe di quelle giunte se si rompesse con Berlusconi?

La seconda ragione è che mandare a casa il Cavaliere per partecipare a un eventuale governo tecnico vorrebbe dire mettere la faccia su una manovra finanziaria da quaranta miliardi di euro. Con quali speranze potrebbe poi ripresentarsi agli elettori?

Infine c’è un terzo motivo. Non si sa quanto sia reale e quanto invece una leggenda metropolitana. Sta di fatto che da anni nel mondo politico si giura sull’esistenza di un accordo che Berlusconi e Bossi avrebbero sottoscritto nel 2001, quando si rimisero insieme dopo il divorzio del 1994. Scottato dal primo tradimento, il Cavaliere si sarebbe cautelato facendo mettere nero su bianco i termini dell’accordo. E sarebbero termini che Bossi avrebbe tutto l’interesse a non violare. Non sappiamo se sia vero oppure no. Sta di fatto che da quel 2001 la Lega ha spesso strillato e minacciato: ma poi è sempre rientrata nei ranghi.

Ecco perché anche domenica prossima l’adunata di Pontida potrebbe partorire nulla di più che qualche annuncio e qualche slogan, magari più colorito del solito. Solo in un caso la Lega potrebbe davvero rompere con Berlusconi: se la sua base mostrasse, in modo ancor più deciso di quanto ha mostrato alle amministrative e ai referendum, di non poterne davvero più. Ma in quel caso assisteremmo probabilmente, oltre che alla fine di un’alleanza, anche alla fine di una leadership. Quella di Bossi. Perché vorrebbe dire che pure lui, e non solo Berlusconi, ha perso la capacità di intercettare per tempo gli umori del proprio popolo.