Vladimiro Polchi, la Repubblica 15/6/2011, 15 giugno 2011
I NUOVI ITALIANI
I NUOVI ITALIANI -
«Sono italiana, quello che sento di essere da anni. Ora finalmente c´è scritto anche sui documenti. Per me vuol dire tanto: poter votare, festeggiare i 150 anni dell´Unità, dare alle mie figlie la nazionalità del Paese dove ho scelto di crescerle, lavorare e pagare le tasse». Lilia Quiroga è una nuova italiana: dopo oltre vent´anni nel nostro Paese, ha ottenuto la cittadinanza per residenza. La sua più grande soddisfazione? «Quando mi fermano i poliziotti, e mi fermano spesso - confida - mi piace vedere la loro faccia mentre tiro fuori la mia bella carta d´identità, invece del permesso di soggiorno». È la carica dei nuovi italiani: ben 40 mila nell´ultimo anno. Nonostante gli ostacoli, il numero dei neocittadini cresce costantemente. Basta uno sguardo ai dati degli anni passati: nel 2004 erano 11.945, poi sono saliti a 19.266 nel 2005. Nel 2006 si è registrato un balzo (35.766 naturalizzazioni), seguito da leggeri aumenti: 38.466 nel 2007, 39.484 nel 2008, 40.084 nel 2009. Fino ai 40.223 dell´anno scorso. Una montagna restano però le domande in attesa di risposta: ben 146 mila. Non solo. L´Italia rimane molto indietro rispetto alle altre grandi nazioni europee. Qualche esempio? Nel 2006, la Gran Bretagna ha concesso 154 mila cittadinanze, la Francia 148 mila cittadinanze, la Germania 124 mila e la Spagna 62mila. In Italia in quell´anno sono state solo 35 mila.
«Il percorso per ottenere la carta d´identità è lungo e faticoso», conferma Lilia: «Io sono arrivata in Italia nel 1988, a 24 anni. A Bogotà lavoravo come infermiera in una delle migliori cliniche della città. A Roma, ho trovato impiego nella casa di un medico: mi prendevo cura di suo padre, anziano. Ho studiato italiano alla Dante Alighieri. Perché sono partita? Per aiutare la mia famiglia. Nell´88 in Colombia guadagnavo 15 mila pesos al mese, in Italia dieci volte di più. Per la cittadinanza ci sono voluti dieci anni di rinnovi di premessi di soggiorno, poi un´attesa di altri tre anni per tutte le lungaggini burocratiche».
Come si diventa oggi italiani? In attesa della riforma più volte annunciata, la nostra legge sulla cittadinanza resta quella del ‘92 e obbliga gli immigrati a una lunga via crucis. Per ottenere il documento italiano ci sono due strade. La prima si chiama "naturalizzazione": l´immigrato deve dimostrare una residenza ininterrotta di dieci anni e un reddito minimo di 8.300 euro all´anno (11.300 con un coniuge a carico). La seconda è sposare un italiano o un´italiana e presentare la richiesta dopo due anni dalle nozze.
Non è tutto. Una volta soddisfatti i requisiti, bisogna ancora avere molta pazienza: l´attesa media è, infatti, di 3-4 anni, anche se la legge parla di una procedura lunga al massimo due. Anche per questo, i primi di giugno, Cgil, Inca e Federconsumatori hanno lanciato una class action contro il Viminale, «per ripristinare i diritti degli immigrati nel rispetto sia dei tempi sia dei modi previsti dalle normative nazionali». Al centro della prima azione legale collettiva, i ricongiungimenti familiari e, appunto, la concessione della cittadinanza italiana nei tempi previsti dalla legge.
Per chi è nato in Italia da genitori stranieri, le cose non migliorano, anzi: il richiedente deve aspettare la maggiore età per poter presentare la domanda, quindi dimostrare una residenza senza interruzioni fino ai 18 anni. Poi, ha solo un anno di tempo (fino al compimento dei 19 anni) per consegnare l´istanza.
Ma chi sono, oggi, i nuovi cittadini? A fotografarli è la Direzione centrale per i diritti civili del Viminale. Nel 2010 sono 40.223 le carte d´identità italiane concesse: 21.630 per residenza, 18.593 per matrimonio. Il numero delle domande bocciate è quasi raddoppiato, passando dalle 859 del 2009 alle 1.634 del 2010. I dati non comprendono però gli stranieri che al raggiungimento della maggiore età dichiarino di voler diventare cittadini italiani (in quanto l´accertamento dei loro requisiti è di competenza del sindaco del luogo di residenza), né gli acquisti di cittadinanza per adozione.
«Sono italiana per amore» racconta Teresa Satalaya. «Undici anni fa sono partita dal Perù con in mano una laurea in odontoiatria conseguita in Ucraina. Ho fatto la volontaria alla Casa dei diritti sociali di Roma e lì, dopo un anno, ho conosciuto un collega romano. Ci siamo fidanzati e poi sposati civilmente. Il mio è un matrimonio vero, anche se ne ho sentite tante di storie di nozze di comodo... Nozze concordate per ottenere finalmente la cittadinanza e uscire dal tormento del rinnovo del permesso di soggiorno».
A questo proposito, va sottolineato il dato del forte calo delle cittadinanze concesse per matrimonio a partire dal 2009 (nel 2008 erano state 24.950). Come si spiega? La stretta è dovuta agli effetti del pacchetto sicurezza, che nel 2009 ha dichiarato guerra ai matrimoni combinati: oggi, infatti, si diventa cittadini italiani non più dopo sei mesi dalle nozze, ma dopo due anni, e per sposarsi bisogna esibire il permesso di soggiorno. Ma gli abusi proseguono.
Oggi Teresa ricorda «la mia forte emozione alla cerimonia di consegna dei documenti italiani in Campidoglio, anche se il funzionario era distaccato e un po´ troppo freddo». Satalaya, invece, ha tre figlie femmine e a breve si sposerà anche in chiesa. La sua laurea in odontoiatria non è stata ancora riconosciuta ed è disoccupata: «Sono italiana, è vero, ma il mio accento e il mio aspetto di straniera non mi aiutano certo a trovare lavoro». Eppure sono tanti i nuovi italiani con un titolo di studio in tasca: tra quelli che hanno ottenuto la cittadinanza per residenza, quasi duemila sono laureati e oltre ottomila hanno un diploma di scuola superiore. Da dove provengono? Per lo più da Marocco (6.952), Albania (5.628), Romania (2.929), Perù (1.377), Brasile (1.313) e Tunisia (1.215). I neocittadini sono in maggioranza donne (molte hanno ottenuto la cittadinanza per matrimonio) e vivono nelle province di Milano (3.109), Roma (2.593) e Torino (2.285). Moltissimi risiedono nel Nord Est: tra Brescia (1.459), Vicenza (1.153), Treviso (1.083), Padova (854) e Verona (778).
Che lavoro fanno? Per lo più sono operai (8.432), casalinghe (1.312), colf (1.043), studenti (1.330), ma non mancano i sacerdoti (239), gli sportivi (17), i registi (2), gli architetti (12) e gli avvocati (10). Molti gli infermieri (346) come Lilia Quiroga. «Oggi lavoro privatamente nell´assistenza ad anziani e malati» spiega Lilia. «Il mio fidanzato colombiano è venuto in Italia, poi ci siamo sposati in Campidoglio. Abbiamo due figlie femmine. Quest´anno abbiamo festeggiato i centocinquant´anni dell´Unità d´Italia. Ed esultiamo a ogni vittoria della Roma sui campi di calcio. Le mie figlie si sentono italiane al 100 per cento. Io? Diciamo che una metà di me è rimasta in Colombia e ogni tanto penso di tornarci da pensionata. Ma tutto dipenderà dalle mie figlie: difficilmente lasceranno il Paese che le ha viste crescere e diventare donne».
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Sono più donne che uomini, hanno meno di quarant´anni e abitano prevalentemente nelle provincie del Centro Nord, ma sono molto presenti anche in quelle del Nord-Est (Brescia, Vicenza, Treviso, Padova, Verona). La maggioranza ha chiesto e ottenuto la cittadinanza perché vive in Italia da lungo tempo e ha deciso che questo è il Paese in cui vuole vivere e con cui si identifica come cittadina o cittadino. Ma una grossa parte, e la grande maggioranza delle donne, ha ottenuto la cittadinanza perché ha sposato un cittadino italiano.
L´accesso alla cittadinanza e prima ancora al soggiorno in Italia si conferma così ancora molto differenziato per gli uomini e le donne che vengono da altri paesi. I primi vengono prevalentemente per lavoro, le seconde prevalentemente per matrimonio. Il che significa anche che i matrimoni in cui uno dei coniugi è straniero vedono prevalentemente un marito italiano e una moglie straniera.
Si tratta di forme di accesso alla cittadinanza non solo diverse istituzionalmente, ma anche per i percorsi di integrazione che sollecitano. Il matrimonio può essere una via apparentemente più facile della cittadinanza ottenuta per lavoro, ma può essere molto più esigente sul piano dell´integrazione e dell´adattamento, dato che si ha a che fare con attese e giudizi che riguardano direttamente gli stili di vita personali e i modelli di normalità quotidiana, e che sono formulati dalle persone più vicine: i parenti e gli amici propri e altrui. È tuttavia anche la strada più aperta ad abusi, con matrimoni di comodo. Ho il sospetto (nei dati resi pubblici non c´è questa informazione) che il forte aumento delle cittadinanze negate, quasi raddoppiate rispetto all´anno prima, riguardi proprio quelle richieste in base al matrimonio, nella misura in cui sono aumentati i controlli.
Soprattutto tra chi, donne e uomini, è divenuto cittadino dopo aver risieduto e lavorato a lungo in Italia, il livello di istruzione è mediamente buono. Più della metà delle donne ha almeno il titolo della scuola media superiore e in molti casi anche la laurea. È in una situazione analoga il 43 per cento degli uomini. Si tratta quindi di nuovi cittadini/e non solo mediamente giovani, ma istruiti altrettanto se non più della media dei cittadini autoctoni, certamente almeno bilingui, competenti nel transitare tra culture diverse e nel «tradurle» l´una all´altra. Si tratta di caratteristiche preziose per loro come per la società italiana. Una società che non solo è avviata all´invecchiamento, ma che non riesce spesso a trattenere i propri giovani meglio formati e fa fatica ad attrarne da altri paesi.
Sarebbe opportuno che il lieve trend in crescita nel numero di cittadinanze concesse venisse robustamente rafforzato concedendo più facilmente - automaticamente, mi verrebbe da dire - la cittadinanza a quei ragazzi che sono nati o comunque cresciuti in Italia e per i quali l´Italia è il Paese di ovvia appartenenza e l´italiano la lingua corrente. Qualche tempo fa i ricercatori Gianpiero Dalla Zuanna, Patrizia Farina e Salvatore Strozza hanno segnalato (I nuovi Italiani, Il Mulino, 2009) che, benché ottengano mediamente risultati peggiori degli autoctoni in una scuola che spesso non ha strumenti per integrarli davvero, i ragazzi «stranieri» hanno atteggiamenti meno tradizionali dei giovani italiani, pur provenendo spesso, anche se non sempre, da paesi dove famiglia e clan sono gli assi portanti della società. In particolare, contro tutti gli stereotipi, le ragazze hanno una visione delle donne più moderna rispetto alle coetanee italiane. Invece di frapporre troppi ostacoli e finestre strette alla loro acquisizione di cittadinanza, la garanzia di ottenimento della cittadinanza, se la desiderano, dovrebbe fare parte esplicitamente del patto sociale che si stipula con loro. Per evitare che le difficoltà di vivere tra due mondi e due culture si trasformino in estraneazione e rancore.