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 2001  giugno 14 Giovedì calendario

I bimbi non sanno contare? La vera malattia è la scuola - Una signora orga­nizza una caccia al tesoro per un gruppo di bambi­ni nascondendo dei cartoncini ver­di, rossi e gialli

I bimbi non sanno contare? La vera malattia è la scuola - Una signora orga­nizza una caccia al tesoro per un gruppo di bambi­ni nascondendo dei cartoncini ver­di, rossi e gialli. I verdi valgono 1, i rossi 2 e i gialli 3. Lo scopo del gioco consiste nel conseguire il massimo punteggio, trovando i cartoncini e sommando il loro valore. Una bambina osserva se­ria: «Questo gioco non si può fa­re ». «Perché mai?», chiede la si­gnora. «Perché non ci sono il se­gno “ più” e il segno “uguale”. Le addizioni si fanno soltanto sul foglio col segno “più” e il segno “uguale”». Questa storia autentica è em­bl­ematica del disastro dell’inse­gnamento della matematica al­le primarie: a quella povera bambina nessuno ha spiegato che le operazioni della matema­tica sono indipendenti dalla lo­ro rappresentazione sul foglio e che esiste anche il calcolo men­tale e, anzi, che questo precede tutto. Insomma, che esistono tanti modi di pensare i numeri e le operazioni tra i numeri, e poi che vi sono anche delle tecni­che per eseguire le operazioni sul foglio. Quella bambina è pronta per essere classificata co­me «discalculica», secondo la terminologia introdotta dalla legge sui Disturbi Specifici di Apprendimento che - come os­servò un preside - sono in molti casi Disturbi Specifici di Inse­gnamento. Perché mai, si dirà, quella bambina rischia di esse­re classificata come «discalculi­ca »? Perché rischia di cadere nella tenaglia di due errori: l’identificazione delle operazio­ni con procedure di incolonna­mento su un foglio, e la creden­za che se non si incolonna bene vuol dire che si è disturbati. Di recente, nel corso di una manifestazione culturale, ho ri­cevuto in omaggio un libro inti­tolato Il bambino, mente mate­matica . Il curatore del volume me l’ha dato con imbarazzo, avendo ascoltato il mio inter­vento: «Non sarà d’accordo», ha detto. Così, ho cercato con curiosità perché mai non doves­si essere d’accordo. Vi ho trova­to una definizione di matemati­ca a dir poco discutibile: un pen­siero procedurale che si svolge nello spazio e nel tempo. In fon­do sembra una definizione ov­via: quale attività umana non si svolge nello spazio e nel tempo? Ma per altro verso quella defini­zione fasulla - la matematica non si riduce affatto a un pensie­ro procedurale - serve a identifi­care gli e­rrori in matematica co­me conseguenza del fatto che le azioni necessarie nello spazio e nel tempo (le procedure) vengo­no fatte in modo scombinato, di­slocato. Chi fa errori (chi non «procede» bene) ha disturbi spazio-temporali, di «disorga­nizzazione motoria». Guarda caso, gli esempi che vengono da­ti di «discalculia» (e non soltan­to in quel libretto) sono preva­lentemente disturbi di incolon­namento delle cifre o di non mettere al posto giusto i simboli + e =, o la linea che viene sopra il risultato della somma. Un tempo questo genere di problemi era raro in quanto i bambini venivano abituati ad incolonnare correttamente i simboli con l’esercizio delle fa­migerate «aste». Riempiendo pagine e pagine di «aste» e «ton­di» non soltanto si familiarizza­vano con le componenti grafi­che di base della scrittura, ma si abituavano a incolonnare cor­rettamente e a rispettare delle distanze fisse tra i simboli. Oggi è vietato persino parlarne: la pe­dagogia «moderna» vi classifi­cherebbe subito come beceri re­azionari. Il guaio è che qualcosa bisogna pur fare per insegnare a incolonnare, non è una cosa naturale, e basta osservare i no­stri bambini per constatare che non lo sanno fare. E così sono pronti a cadere nella tenaglia di quei buontemponi che credo­no che la matematica si riduca a incolonnamenti e che chi non sa incolonnare è un disturbato. Buontemponi si fa per dire, per­ché le conseguenze concrete so­no molto gravi. Un altro esempio di bambino disturbato che viene proposto dai nostri buontemponi è il se­guente: si tratta del bambino che, richiesto di scrivere «quattrocentotrentasei », scrive 400306. Disturbato? In realtà, di­sturbato è chi gli ha fornito un insegnamento incompleto e an­cor più chi lo ritiene tale. Il pove­rino ha capito benissimo il mec­canismo dello «zero operato­re», ovvero che, per rappresen­tare un certo numero di decine, basta mettere uno zero dietro quel numero; per un certo nu­mero di centinaia occorre met­tergli dietro due zeri, e così via. Così, se voi gli dite «quattrocen­totrentasei », lui scrive molto correttamente in sequenza pri­ma 400, poi 30 e poi 6. In tal mo­do, attraverso il suo errore ha di­mostrato di aver compreso in modo profondo l’idea comples­sa di «zero operatore». Possia­mo quindi senz’altro dire - in barba ai nostri pedagogisti-psi­cologi- che egli possiede tutte le doti per comprendere il passo successivo, e cioè come si rap­presentano i numeri in notazio­ne posizionale e cioè come si raggruppano assieme quelle tre cifre. Questo, chiaramente non glielo ha saputo spiegare nessu­no. Ma per i nostri specialisti lui è un prototipo di «discalculico», con tutto il corteo di conseguen­ze: diagnosi da parte di uno psi­cologo, identificazione di proce­dure didattiche speciali, quattri­ni che se ne vanno da ogni par­te, e lo stato psicologico della f­a­miglia e del bambino che vanno a pezzi. E oltretutto per colpa di persone che in materia di mate­matica meritano il cappello d’asino perché ne danno defini­­zioni grottesche, non sanno che il pane quotidiano della mate­matica è l’errore, e la pratica del­­l’errore non è un «disturbo», una malattia, bensì il percorso normale attraverso cui si ap­prende la matematica. Giorni fa ascoltavo tre signore che in metropolitana discuteva­no accalorate del problema dei bambini discalculici, con un to­no da specialiste della materia. Protestavano: «Le gente non si rende conto che sono bambini normalissimi, come tutti gli al­tri, anzi, spesso più intelligenti degli altri, solo che hanno que­sto “problema di apprendimen­to” ». Certo, è proprio così, nella stragrande maggioranza dei ca­si sono bambini come tutti gli al­tri, classificati come «disturba­ti» con diagnosi fasulle basate su teorie fasulle. Avrei voluto di­re a quelle signore: «Proprio co­sì, sono quasi sempre bambini normalissimi; guardatevi piut­tosto allo specchio per rendervi conto che i problemi stanno nel­la vostra testa e non in quella dei bambini».