ELISABETTA GRAZIANI, ROSA MOGLIASSO, La Stampa 13/6/2001, 13 giugno 2001
“E adesso diamo un taglio ai parrucchieri dilettanti” (2 articoli) - Minacciate dai nuovi coiffeur cinesi e assediate dalla miriade di piccole scuole private, le storiche sedi dell’Accademia nazionale acconciatori si spopolano di anno in anno
“E adesso diamo un taglio ai parrucchieri dilettanti” (2 articoli) - Minacciate dai nuovi coiffeur cinesi e assediate dalla miriade di piccole scuole private, le storiche sedi dell’Accademia nazionale acconciatori si spopolano di anno in anno. Non basta la professionalità degli insegnanti a guadagnare allievi. Anzi, capita che molti preferiscano i corsi «light» di nuova generazione, meno impegnativi e di più facile accesso. Le differenze, alla fine, si misurano sulle teste dei clienti. Ma anche qui si verifica un’inversione di tendenza. Cala il numero di quanti prestano attenzione a un taglio ben fatto; quel che conta è apparire più giovani e, soprattutto, assomigliare al divo di turno. Da Orietta Berti a Simona Ventura, i miti cambiano soltanto in base all’età e al sesso. Sempre meno servizio e sempre più moda, il mestiere del parrucchiere vede diffondersi nei saloni dilettanti allo sbaraglio o improvvisati acconciatori. E l’Accademia paga il prezzo del progresso, incarnato dal moltiplicarsi delle scuole che sfornano diplomi veloci. Le tradizionali botteghe dei parrucchieri ormai segnano il passo, schiacciate da una concorrenza a dir poco sleale. Prezzi bassi, perfino bassissimi, anche dieci volte inferiori alla media, dirottano una quantità sempre più elevata di clienti verso i piccoli esercizi gestiti dai cinesi che spuntano come funghi in ogni città. Poco importa se la tinta non ha la nuance desiderata, quel conta è il portafoglio: e i Figaro dagli occhi a mandorla, in questo campo, sono insuperabili. Meno clienti, meno introiti: il vecchio barbiere deve così rinunciare pure agli apprendisti. Solo le catene di negozi in franchising possono permettersi il lusso di avere molti dipendenti. Risultato: i giovani parrucchieri cercano fortuna altrove - chi imbarcandosi su di una nave da crociera, chi emigrando all’estero - oppure con il fai da te. Cresce il numero di quante, soprattutto parrucchiere, vanno a «fare i capelli» a casa, come una volta. Con la differenza tutt’altro che trascurabile che non si emette scontrino fiscale e non si deve pagare l’affitto del negozio. Alla concorrenza si aggiungono poi le difficoltà della categoria. Elio Vassena, presidente dell’Accademia nazionale acconciatori misti, radunatasi ieri e oggi in congresso a Torino, ne snocciola un elenco, dai costi di gestione alla scarsa attenzione della classe politica. «Le attività in Italia sono 80mila e circa 120mila gli addetti – dice –. Sono numeri che fanno riflettere: pochi possono concedersi più di un apprendista. E, di conseguenza, cala anche il numero dei giovani che si iscrivono alla scuola». La misura della crisi è data dalle sedi storiche, sorte negli anni Cinquanta e a lungo punto di riferimento per il tessuto nazionale. «L’Accademia di Torino era il più importante istituto in Italia insieme a quella di Milano. Ora purtroppo ci sono a mala pena gli allievi sufficienti per sopravvivere», commenta amaro Vincenzo Russo dell’Accademia milanese e campione del mondo nel 1970 a Stoccarda. Con la crisi delle sedi dell’Accademia nazionale, però, se ne va via anche un pezzo di storia. I tradizionali saperi custoditi dai professionisti di vecchia generazione scompaiono sotto i colpi dei nuovi maestri. E quella che era una passione, prima che una professione, cede il posto ai mestieranti. ELISABETTA GRAZIANI *** Dai cinesi il fascino alla “Blade Runner” - Andare dal parrucchiere cinese è tutto un mondo, vi assicuro. È un po’ come entrare in una sequenza di «Blade Runner», l’atmosfera è quella: un poco sospesa, loro sono così esotici, pettinati strani, creste sparate, occhio inespressivo, a volte mangiucchiano nel retro. Naturalmente, ti accolgono con quel parlottare incomprensibile, ma non ti devi fare impressionare, perché se entri nel negozio con le idee ben chiare e i tuoi prodotti nella borsa, esci che sei cuaffata come una supermodel e hai speso solo sei euro, dico sei! La prima volta ti porti il tuo shampoo e il tuo balsamo, poi li lasci lì, dentro un sacchetto di plastica, con il tuo nome scritto sopra a pennarello, c’è l’apposito scaffale, tutti i sacchetti in fila, e devi avere fede che, nel tuo, nessuno ci metta le mani perché, andare dal parrucchiere cinese, è anche un atto di fede. All’inizio ti chiedi come farò a spiegarmi? Una cosa è ordinare il pollo con le mandorle indicandolo sul menu, un’altra è chiarire come vuoi la frangia se questi enigmatici ragazzi con gli occhi a mandorla sghignazzano impenetrabili tra loro e non parlano italiano ma, in fondo, mica devi fare conversazione, tu devi fare la messa in piega e puoi sempre usare il linguaggio simbolico, quello dei gesti, i gesti li capiscono, sono abituati, anche per via degli ideogrammi, credo. Fai il segno delle forbici con l’indice e il medio all’altezza di dove vuoi che taglino, se vuoi le onde descrivi dei cerchi morbidi in aria con le mani e così via, gesticolando. Comunque, io preferisco la messa in piega liscia, sul capello liscio i cinesi sono imbattibili, d’altra parte è la razza, sono tutti lisci da generazioni, dico bene? E poi sono velocissimi, in mezz’ora sei fuori e ti lavorano il capello così bene che la messa in piega ti dura una settimana, anche se piove, d’altra parte in «Blade Runner» pioveva sempre. Naturalmente devi lasciare da parte l’aspetto affettivo, il fatto che il tuo parrucchiere ti conosce da sempre, che ci andava anche tua madre, che nei momenti duri gli hai raccontato tutto di te e lui ti ha consigliato con il buon senso di chi ascolta le donne, nove ore al giorno, in una posizione scomoda e quindi tende a trovare soluzioni pratiche e celeri a qualsiasi tipo di dramma travagli una femmina media occidentale. Soprattutto, devi dimenticarti che lui ti massaggia la testa come nessun altro, i cinesi al lavaggio sono sbrigativi, ti grattano con forza disordinata, ti avvolgono un asciugamano intorno alla testa e ti spediscono al phon e, in un amen, sei pronta per uscire ad affrontare il mondo. Quindi il cinese va bene, molto economico, molto veloce, ottimo risultato, ma c’è un però...Perché c’è sempre un però: se è un periodo un po’ così, di quelli solitari, di quelli che l’amore non funziona e, in tutta la settimana, l’unico uomo che ti sfiora i capelli con amorevole sollecitudine è il tuo italianissimo parrucchiere di una vita, allora, in quel caso, spiace dirlo, ma i cinesi non fanno per te. ROSA MOGLIASSO