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 2011  giugno 06 Lunedì calendario

DOPPIO NOIR

Giancarlo De Cataldo conosce Jo Nesbø da quando lo scrittore norvegese pubblicò in italiano «Il pettirosso» (Piemme). In questi giorni sta affrontando «Il leopardo», appena uscito da Einaudi Stile Libero: un volumone di circa settecento pagine dove il detective Harry Hole, protagonista di tutte le storie di Nesbø, porta a termine la sua ottava inchiesta. Tradotta in oltre quaranta paesi, con nove milioni di copie vendute, la serie con Harry Hole ha conquistato stampa, critica e una decina di giurie di premi letterari: Nesbø è diventato in breve tempo il «Dickens del poliziesco», il «Picasso del crime norvegese». È nato nel 1960 a Oslo da una famiglia di librai. «Mio padre se ne stava tutti i pomeriggi seduto in soggiorno a leggere e raccontava storie. Lunghe storie che avevamo già sentito, ma lui raccontava in modo da farci venir voglia di risentirle. Quando avevo sette anni presi dallo scaffale "Il signore delle mosche", attratto dal disegno in copertina che rappresentava una testa di maiale insanguinata e infilzata in un palo, e chiesi a mio padre di leggermelo. Alla fine pensai che anch’ io sarei stato in grado di scrivere una storia così, ma l’ avrei scritta in maniera più eccitante». De Cataldo dice che ha cominciato a leggere Nesbø «per ragioni professionali». E precisa che per «professione» intende quella di scrittore. L’ altra è di giudice presso la Corte d’ Assise. Due lavori che spesso si intersecano. I suoi primi testi, «Minima criminalia, storie di carcerati e carcerieri» e «Teneri assassini», scaturiscono dalla sua esperienza come giudice di sorveglianza all’ inizio della carriera di magistrato. Ma è il «Romanzo Criminale», storia ispirata alle vicende della banda della Magliana, ad avergli regalato il successo: migliaia di copie vendute, un film e una serie televisiva molto seguita. Nel volume più recente, «I traditori» (Einaudi), si è trasferito nel secolo del Risorgimento, intrecciando in una storia epica i destini di Mazzini e Cavour con quelli di personaggi inventati. De Cataldo e Nesbø si presentano fianco a fianco sul palco di Massenzio domani sera. Abbinati da Maria Ida Gaeta, direttrice del festival, non solo in quanto autori noir, ma anche come cultori di musica. Nesbø ha fondato il gruppo pop Di Derre, dove ha fatto il cantante e l’ autore di brani. De Cataldo va pazzo per Leonard Cohen, del quale ha tradotto in italiano poesie e canzoni raccolte nell’ antologia «L’ energia degli schiavi» (Minimum fax). E conosce profondamente il panorama del noir scandinavo che, dice, ha una curiosa tradizione: è tra i più antichi d’ Europa. «Comincia con il finlandese Miko Toimi Waltari che negli anni Trenta scrisse tre gialli con protagonista un burbero detective di nome Palmu. Negli anni Settanta emergono in Svezia Henning Mankell con il commissario Wallander e la coppia Sjowall-Wahloo con il commissario Beck. È a loro che si ispira Stieg Larsson, con il suo fortunatissimo "Uomini che odiano le donne". Questi giallisti del nord hanno una particolarità: nei loro testi c’ è sempre uno sfondo di critica sociale unito a una grande attenzione per il dettaglio». Nesbø rientra in questa tradizione? «No, in lui prevale l’ aspetto thriller, la lotta del Bene contro il Male. "Il leopardo" è una pura caccia al serial killer. E poi il detective Harry Hole è un protagonista assoluto, con mille sfaccettature. Da una parte è il classico poliziotto in giacca e cravatta, dall’ altra si droga, è alcolizzato e pieno di debiti. Da un altro lato ancora è un maestro dell’ indagine scientifica tradizionale, con una profonda conoscenza dell’ animo umano». Difficile incontrare investigatori del genere nella realtà. Perché è così complicato venire a capo di certi delitti accaduti in Italia negli ultimi anni? «Non dipende dagli investigatori, che sono molto preparati. Vede, nei romanzi i casi si risolvono perché alla fine il colpevole confessa sempre. Nella realtà no. Si difende fino all’ ultimo e l’ accusatore deve portare le prove del crimine. La grande differenza tra la realtà e la letteratura è questa. Gliela spiego con un esempio. Nel romanzo, io trovo un frammento di pietra. Penso che abbia a che fare con l’ assassino e lo porto ad analizzare. L’ esperto mi dice che proviene da un certo vulcano. So dove sta il vulcano, so che c’ è una relazione tra il vulcano e uno dei sospettati e mi muovo in quella direzione, dritto verso la soluzione del caso. In un processo vero, invece, mi trovo davanti l’ avvocato difensore: la prima cosa che fa è trovare un altro esperto, il quale dimostri che quella pietra viene da un vulcano dall’ altra parte del mondo».
Lauretta Colonnelli