Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 12 Domenica calendario

SUSSURRI, GRIDA (E ANCHE BLUFF): L’ASTA DEL PESCE E’ COME IL POKER

Splaff, secchiate d’acqua per pulire i ponti dei pescherecci. Cigolano i carrelli con sopra le casse di pesce, rimbombano i camion arrivati per caricare. E sbam, i tonni da quaranta chili vengono appoggiati sui bancali; e brooommm, ecco le motorette dei vecchietti venuti per guardare. Tonfi e scivoloni sul pavimento bagnato. Si alzano le saracinesche dei magazzini frigoriferi. Pioggia di cubetti di ghiaccio per tener freschi i gamberi. Casse che battono scontrini, gli stivali battuti l’uno contro l’altro per levare lo sporco. Urla, quante urla. Una sirena bestiale da fabbrica annuncia l’inizio. E sì, per davvero: con tutti questi rumori che silenzio c’è nell’aria. Al mercato ittico di Chioggia è l’ora dell’asta. Ogni giorno alle 3. E ogni notte alle 4. Dura quindici minuti al massimo. Rapido, feroce, asfissiante. Commercio all’ingrosso. La merce viene acquistata di ritorno dalla caccia nell’Adriatico. Chi compra bisbiglia l’offerta all’orecchio del venditore. È la prassi, l’obbligo. È la regola. Da sempre. Antichissima tradizione. Chi compra allunga la bocca come soffiasse e la copre con una mano posizionata di taglio; il venditore si piega e s’abbassa quasi in cerca di un isolamento dagli altri e invece tutti gli altri allungano il collo, cercano di sentire, almeno di intuire. Cosa diamine avrà proposto il rivale di contrattazione? Quanti soldi? E io, adesso che finalmente tocca a me, cosa faccio? Gioco al rialzo o maledizione provo a bluffare? Chi lo saprà mai. Impossibile pedinare la gente di mare. Mette le distanze da subito. Questi hanno per rifugi trattorie e ristoranti con nomi di tipici animali non d’acqua. Infatti si chiamano al Gatto, al Toro, al Cavallo. Per darci un taglio netto. Dopo la pesca i marinai finiscono a riposare al bar nel piazzale del mercato, gestito da tre donne, e ordinano acqua. Naturale, frizzante. Acqua. Consigliare di far portare piuttosto un prosecchino, bah, dà perfino scandalo. Non fosse che, per un brindisi, si può pure farlo passare. Soltanto che brindare, ragazzo mio... Sul muro del bar un cartello: «Per piacere non bestemmiare» . Certo. Epperò almeno lasciateci protestare, dicono loro. C’è la crisi, licenziano e prepensionano. Quando il padrone ha debiti, insegna un detto di queste parti, il pescatore diventa ricco. Perché pur di far pesca, bottino e incasso si esce per navigare anche con mare forza 7. Onde di quattro, cinque metri. Vento a sessanta all’ora. Dopo il 7 c’è forza 8: burrasca. Ci sono tanti padroni con i debiti. D’accordo. Ma la ricchezza dei pescatori, Renato? Ha 53 anni e lavora in mare da bambino. Naturalmente, tiene a premettere, il mare l’ha visto per intero, ci mancherebbe: «Lignano, Caorle, Jesolo. In Italia sono stato ovunque. Altri porti? In che senso? Al di fuori di questi, altri porti non ne esistono» . E com’è il mestiere? «Ti danno gli incentivi» , dice Renato, che troviamo al bar delle tre donne con l’ennesimo caffè, «per chiudere l’attività facendo tagliare la barca. Un’imbarcazione di 23 metri fa 300 mila euro. Qual è il discorso? Che gli incentivi se li piglia tutti l’armatore. I marinai rimangono disoccupati, non hanno un centesimo di sussidio» . Ormeggiato sulla banchina che circonda il mercato ittico— sull’altra sponda collegato da piccoli ponti al centro storico di Chioggia — riposa il Gimmj Endri. La gente di mare fa di testa sua a cominciare dalle origini, dai nomi. Il Gimmj Endri è un peschereccio bianco e azzurro, corporatura robusta, profilo da vecchio guerriero. Nei paraggi ha appena attraccato il Bruno e Augusta. Bruno e Augusta. Sono i nomi del papà e della mamma di Renzo Zennaro, capo dell’imbarcazione che coi marinai — quattro italiani e un algerino — è di rientro dal largo. Lo scafo sfrecciava, costruito con materiale innovativo, armato anzi munito di questi speciali radar che avvisavano quando di sotto c’era movimento; e allora giù, forza, calare, catturiamo. Stanotte— mar rilassato, mandrie di gabbiani— si cercavano alici. Salite a quintali. E intanto nel mezzo un pesce pescato e preparato al volo, mezzoretta a marinare; una pausa, si rifiatava, spazio ai racconti. Con quel tirare la vocale finale dei verbi tipica dei chioggiotti. Lo scriveva Carlo Goldoni nella commedia Le baruffe chiozzotte, ambientata in questa cittadina di cinquantamila abitanti. Raccontava Goldoni il popolo, l’amore, naturalmente la pesca, pesci e pescatori. E le donne. Semo aliegre, e volemo stare aliegre, e volemo balare, e volemo saltare. E volemo che tutti posse dire: e viva le Chiozotte, e viva le Chiozotte! Le femmine dei marinai pedalano nelle calli, i bimbi col casco da corridore messi sul portapacchi delle biciclette. Accelerano e sorridono, le donne. Tagliano le curve, scampanellano contro pedoni e automobilisti. Corrono. Tanto torneranno sempre. A casa. Per aspettare. L’uomo, il mare. In settimana è morto un pescatore, nell’affondamento d’un peschereccio. Aveva 52 anni. Braccia dietro la schiena, giubbotto multitasche e calzini a metà caviglia, in una sfilata pazzesca di abbinamenti, gli abbinamenti controcorrente dei marinai — sandali e tute vinte coi punti dal benzinaio, cappelli da corsa dell’Avis con scarponi da montagna, berretti di lana e canottiere, occhiali da vista viola fosforescente e squali tatuati — passeggia Guglielmo Bonaldo, 75 anni. Pare al museo. Andar piano, osservar a lungo. Guglielmo giudica l’apparenza e oltre: l’occhio del pesce, la pelle, la forma. Se ne intende. Ha passato in barca cinquantadue anni. Arrestatelo, ma non chiedetegli di evitare la quotidiana gita al mercato ittico, 11 mila metri quadrati di superficie, uno dei principali d’Italia. Signor Bonaldo, come sta? «Mi danno fastidio i giovani. Non vogliono imparare. Non conoscono bene i venti, i tipi di pesca» . I tipi di pesca: esca, a strascico, volante, coccia, rapido, turbosoffiante, nasse, palangari, reti da posta fisse, cogoli... E per esempio la turbosoffiante dicono risucchi distruggendo vongole e uova depositate. E la pesca a rampone, enorme pettine che sradica e ara, stravolge e sconvolge. Articolo 30 del regolamento del mercato ittico: «L’esecuzione dell’asta ha luogo con offerta segreta "all’orecchio"e con deliberazione pubblica. Il maggior offerente deve comunicare ad alta voce il prezzo offerto dopo essere stato pubblicamente designato dall’astatore. Tale prezzo deve essere trascritto al momento della pesatura sul registro-brogliaccio di vendita» . D’un tratto un capannello. Volti che si avvicinano. Toccata e fuga. Tre secondi. Il tempo d’un prezzo. È l’asta, gente. In palio chilogrammi di canocchie. Sette in gara. Partita di poker: fissarsi, tamburellare con le dita. Le canocchie verranno assegnate a un piccoletto con lo sguardo cattivo a nove euro e trenta al chilo. I margini di guadagno, viene spiegato, saranno tra il venti e il quaranta per cento a seconda della zona del ristorante cui saranno vendute. Un conto e un costo di trasporto è la vicina Padova; un altro, s’intende, Milano. Già che ci siamo: i marinai sono pagati di fisso ogni sabato. Trecento euro. Sono numeri variabili, comunque. Di norma bisogna togliere le spese dal ricavo della vendita di pesce di una settimana e dividere quel che resta per due. Metà è dell’armatore e metà dei pescatori. Da settembre a Natale c’è il periodo della fraima. Adriatico mosso, meno barche in circolazione, più pesce. Più guadagni, rischi, pericoli. Pesci spada. Orate. Anguille. Triglie. Il mercato ittico. Regole ferree da rispettare, controlli a tappeto. Sauro Ranzato è il responsabile della cooperativa dei facchini. Non è un marinaio. Fa niente. Si è adattato lo stesso all’Adriatico. Tempi ribaltati, mischiati, confusi. La notte, il giorno. Nel salutarlo gli domandiamo: arrivederci ciao, potremo risentirci? E lui: «Chiama quando vuoi. In che senso quando? Mi trovi per pranzo e per cena. Le ore tredici. Le venti. Come tutti gli altri. Regolare. Che credevi» ?. Ha quattro figli, Sauro. E per intanto che son piccoli si permette, forse si obbliga, di restare tra la gente di terraferma; con orari, ritmi e naturalmente i vizi della terraferma.
Andrea Galli