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 2011  giugno 12 Domenica calendario

P2 IERI COME OGGI IL PIANO (RIUSCITO) DEL VENERABILE LICIO GELLI - TRENT’ANNI FA LA SCOPERTA DELLA P2

cambia la storia d’Italia, almeno lo si sperava. Era l’Italia dei democristiani, dei comunisti, dei socialisti e dei fascisti aggrappati alla nostalgia dei giorni neri. Trent’anni dopo viviamo nel Paese dei post fascisti, post comunisti, post democristiani, post socialisti, non ancora dei post piduisti perché gli uomini della P2 restano impegnati a realizzare il programma disegnato da Licio Gelli: regressione della democrazia agli statuti regi con oligarchie che svuotano la Carta costituzionale. La storia lontana accompagna coi suoi veleni i nostri giorni; storia che si nasconde ai ragazzi chiamati a disegnare il futuro. Dimenticata dai libri di scuola, dibattiti della politica e grandi pagine del passato richiamate nelle rievocazioni tv con l’impegno di oscurare la memoria che imbarazza. I protagonisti cresciuti all’ombra di Gelli minimizzano, irridono, ripiegandola in un evo da cancellare. Ecco perché ricordiamo come è cominciata e come continua e quali sono le radici della crisi che angoscia la speranza delle generazioni rese inconsapevoli da un sistema che si regge sul silenzio.
IL TERREMOTO
DEL BANCO AMBROSIANO
Quel 21 maggio 1981, giovedì, un terremoto sveglia Milano. Sette protagonisti dell’alta finanza finiscono nelle prigioni di Lodi: da Roberto Calvi, Banco Ambrosiano, a Carlo Bonomi a Mario Valeri Manera. Coinvolta anche la Banca Cattolica del Veneto ma Massimo Spada, presidente decaduto, è un vecchio malato e il procuratore Gerardo D’Ambrosio concede gli arresti domiciliari. Hanno trafugato all’estero capitali importanti attornoallatramadelfintorapimentodiMichele Sindona e dell’assassinio del dottor Giorgio Ambrosoli, eroe borghese che scavava negli affari della mafia e della loggia P2. Reazione della Borsa “composta“, nessun trasalimento. La speculazione sapeva delle segrete cose e aveva metabolizzato in tempo le manette. Ma é l’informazione a fare i conti. I piani di Gelli prevedono la sparizione della Rai in favore di un’egemonia privata; pianificano una catena fedeledigiornaliguidatidalCorrieredellaSera.Alla grande notizia il Corriere dedica il grande titolo e l’articolo di fondo. Un po’ sotto racconta dell’ordine di cattura che insegue Gelli. Nei suoi cassetti nascondeva documenti protetti dal segreto di Stato come il rapporto-Cossiga sullo scandalo Eni-Petromin. Quali mani glielo hanno passato? E perché? L’avvenimento che fa tremare il governo di Arnaldo Forlani (democristiano) lo racconta Antonio Padellaro, ma la direzione del Corriere sembra distratta: titolino a una sola colonna: “Nella notte, dopo una giornata di dubbi e ripensamenti, il presidente del Consiglio decide di rendere di dominio pubblico gli elenchi sulla loggia P2 trasmessi al governo dai giudici milanesi. Si tratta di uomini politici, industriali, alti burocrati, alti militari, giornalisti: tutti hanno subito smentito”. Forlani resiste da settimane: se i nomi escono il suo governo cade, troppi amici coinvolti. Inventa una commissione di tre saggi ai quali affidare “il delicato compito di accertare eventuali responsabilità”. Ma l’inquietudine attraversa i partiti di governo e alla fine Forlani si arrende alle richieste della sinistra che ha mano libera perché nessun comunista risulta affratellato a Gelli. Le pagine interne del Corriere annunciano il vertice dei leader di maggioranza per decidere l’opportunità delle dimissioni di ministri e militari che brillano nell’elenco fatale. Subito, Silvano Labriola, presidente dei deputati socialisti, prova a mettere i cerotti: promuove un’iniziativa per denunciare “l’uso arbitrario dei poteri da parte dei magistrati inquirenti”. I furori contro la magistratura, che poi ritroveremo con Silvio Berlusconi, cominciano così. La scelta del Corriere di nascondere fin dove possibile l’identità dei protagonisti è l’ultima difesa di un giornale con editore,direttore,unpo’difirme,nell’elencodei 963 affiliati. Lo racconta il giornalista Raffaele Fiengo: presiedeva il comitato di redazione – la rappresentanza sindacale interna al giornale – sbalordito dalla rivelazione che sgualcisce la credibilità del primo quotidiano d’ Italia: “Non potevamo non pubblicare i nomi anche se nell’elenco c’erano il direttore Franco Di Bella, amministratori e proprietà, Maurizio Costanzo e Roberto Gervaso: insomma, tanti”. Il titolo insinua il dubbio della disperazione:“PresuntalistadellaLoggiaP2”.Ma per i lettori quasi impossibile leggerne i nomi. Caratteri formica, invisibili. Pagina grigia, righe gremite. La presenza di Di Bella crea agitazione e fino all’ultimo momento non si sa se il giornale andrà in edicola. Palazzo Chigi diffonde l’elenco a un’ora impossibile per rimpicciolire l’effetto tv nelle notizie della notte, tentativo di limitare i danni che certe voci delCorriereprovanoarilanciare: “Se non ci fosse il nome del direttore sarebbe meglio…”. Accanto ad ogni protagonista dell’azienda, la smentita: Angelo Rizzoli, editore, “si duole di essere al centro di un gioco al massacro”. Di Bella ripete che “30 anni di giornalismo pulito alla luce del sole cancellano da soli qualsiasi militanza in oscure e segrete logge”. E poi l’indignazione dei personaggi legati alla casa editrice: Maurizio Costanzo, Paolo Mosca. Arriva da Roma il disprezzo di Fabrizio Cicchito, ala radicale della sinistra lombardiana del Psi: “Il gioco al massacro prosegue”. Spiegando e implorando comprensione, un po’ alla volta si arrendono. Maurizio Costanzo confessa il piduismo in tv a Giampaolo Pansa. Gelli ancora non gli perdona di aver picconato il muro della fratellanza. Se il povero Corriere sospira, gli altri giornali raccontano senza riverenze: Repubblica, l’Espresso, il Panorama di Lambertio Sechi e La Stampa, che affida a Luca Giurato (oggi show man televisivo) lo sconvolgimento di Via Solferino. Indro Montanelli sfuma: “Una volta ho incontrato Gelli accompagnato da un amico. Cercavo finanziamenti per il Giornale. Impressione modesta, magliaro inaffidabile. Mediocre, un po’ ridicolo.Nonpuòavereimmaginatounintrigodi questa dimensione, sempre che la dimensione venga confermata“. Forse è proprio Gelli ad accostarlo a Berlusconi. Le fantasie si perdono nel caos delle ipotesi. Montanelli sembra non sapere del Forlani che per due mesi prova a nascondere i nomi: “Li ha voluti pubblicare battendo i pugni sul tavolo e dobbiamo essergliene grati”. Dedica un’intera pagina all’intervistaalmaestronascostotraArgentinaed Uruguay (ma forse era solo a Ginevra). La firma è di Renzo Trionfera, massone non piduista.
FORSE DUEMILA
AFFILIATI
Venerabile ricercato che attacca: “La lista è falsa”, e in un certo senso ha ragione. Perché la commissione di Tina Anselmi raccoglie testimonianze che raddoppiano il gruppo degli affiliati, forse duemila, forse di più: purtroppo il nuovo elenco non si trova. Chissà chi lo ha fatto sparire. Le parole di Gelli attraversano le abitudini politiche degli ultimi 30 anni: veri colpevoli i magistrati che inventano crimini inesistenti. Se altri si lasciano andare, Berlusconi non si arrende. Querela due giornali che parlano della militanza P2. Giura il falso in tribunale e la Corte d’appello di Venezia “ritiene che le sue dichiarazioni non rispondano a realtà”. Non si è arruolato(comegiura)pocoprimadelsequestro delle liste per dare una mano all’amico Gervaso in difficoltà al Corriere della Sera. Gervaso passeggiava nei corridoi di Via Solferino a braccetto dell’editore col passo sorridente di un vicerè. Berlusconi chiede di far parte della P2 appena comincia il ’78. La ricevuta dell’iscrizione prova un primo versamento di 100 mila lire. Poco dopo comincia a scrivere sul grande giornale. Gli articoli arrivano alla direzione con titolo e sommario e l’ordine di una collocazione di rispetto. Appena Di Bella se ne va e il presidente Sandro Pertini impone ad Alberto Cavallari di diventare direttore per “restituire al Corriere la dignità che merita”, Cavallari proibisce la collaborazione di ogni piduista: pulizia non facile con, negli uffici accanto, editore e amministratore delegato, Bruno Tassan Din, cuore di tenebra della loggia, sempre al loro posto, mentre una strana ribellione accende una parte della redazione. Il redattore Vittorio Feltri, portavoce dei craxiani, arringa le assemblee invitando alla rivolta. Appena Cavallari è costretto a lasciare e le redini passano a Piero Ostellino, torna la firma di Berlusconi nelle pagine dell’economia. Comincia a nascere l’Italia che elezioni e referendum di questi giorni provano a mandare in pensione. Mino Pecorelli, (tessera P2) annota nel diario le visite a Milano2 assieme a Gelli e Umberto Ortolani, finanziere della loggia. Ricorda l’ospitalità squisitadelCavaliere.Diventa“ilpasticciere“per i dolci che accolgono gli ospiti. Li accompagna nei parcheggi sotterranei dove langue Telemilano. “Se avessi le possibilità potrei fare concorrenza alla Rai...”. Lo interrompe Ortolani: “Per i capitali non è un problema: sono in Svizzera“. Pecorelli è il giornalista che ondeggia tra servizi e logge segrete. Viene assassinato in redazione mentre preparava un dossier dedicato a Giulio Andreotti. La sentenza della corte di Venezia condanna il Cavaliere per falsa testimonianza. Ma un’amnistia cancella la pena, fedinapenaleimmacolataenel’94puòdiventare presidente del Consiglio. Maurizio Chierici • LA CASSAFORTE SEGRETA DI WILLA WANDA - IL GIUDICE ISTRUTTORE GIULIANO TURNONE sta per compiere 40 anni quando il 13 marzo ’81 firma l’ordine di perquisizione alle residenze di Gelli: suite all’Excelsior di Roma dove passa a fil di spada chi bussa alla porta della loggia segreta, e poi Villa Wanda e gli uffici della Giole (azienda nella galassia Lebole), paesino toscano di Castiglion Fibocchi, vicino ad Arezzo. Assieme a Gherardo Colombo, Turone indaga sul finto rapimento di Michele Sindona, bancarottiere della mafia scomparso a New York e riapparso in Sicilia. È il mandante del delitto Ambrosoli, quell’eroe borghese che scavava nella contabilità opaca del protagonista adorato da Giulio Andreotti (che di lui disse: “ha salvato la lira“), al quale Gelli aveva aperto la fiducia della P2. Turone non si fida delle polizie locali: “Sapevo che Gelli aveva mani su tutto“. Chiede al colonnello Bianchi e alle sue Fiamme gialle di non annunciare la sorpresa alle autorità di Arezzo. Ordine scritto perché rompe la regola delle operazioni condivise.
I protagonisti della trasferta segreta dormono in un motel dell’autostrada e alle 6 del mattino del 17 marzo ’81 suonano campanelli che rispondono malvolentieri. Guardiani che provano a resistere. La segretaria di Castiglion Fibocchi giura di non avere notizia della chiave della cassaforte e non sa come aprire una valigia gonfia di carte. Prova a nasconderla ma un maresciallo la tiene d’occhio, ecco il vaso di Pandora. Non solo l’elenco dei 963 nomi ma 33 buste sigillate che raccolgono i misteri d’ Italia. Dallo scandalo Eni-Petromin uscito dai cassetti di Cossiga; conto Protezione di una banca di Lugano (dove compare il nome di Claudio Martelli, delfino di Craxi); Calvi e Banca d’ Italia; destino della Rizzoli, del Corriere della Sera e la lettera che rivendica l’assassinio del giornalista Walter Tobagi. A questo punto il colonnello di Milano informa il comandante Paratore, della Guardia di finanza ad Arezzo. Ogni perplessità svanisce appena trova Paratore nella lista P2. Ovunque, in agguato, la rete dei cappucci di Gelli. Cominciano le telefonate. Orazio Giannini, comandante generale della Guardia di finanza, vuole parlare da Roma al colonello Bianchi su una linea sicura: “Ti devo comunicare che hai trovato degli elenchi. Ci sono anch’io. Non me ne frega niente, ma statti accorto: sono coinvolti i massimi vertici dello Stato. Raccomando grande riservatezza”. Lascia intendere che le Fiamme gialle potrebbero essere travolte e lui, povero ufficiale, ne avrebbe la responsabilità. Bianchi avverte Turone. Anche Milano si sta muovendo. Il generale dei carabinieri Giovanni Battista Palumbo si fa vivo col pm Viola: “Attenzione, è pericoloso“. Palumbo è numerario di Gelli e frequenta il procuratore per dovere d’ufficio con la cordialità di un’amicizia meno formale. Aspetta d’essere rassicurato, insomma cortesia del “vedrò cosa posso fare“, invece Viola trasmette a Turone l’avvertimento e Turone convoca Palumbo per interrogarlo. “Sembrava scocciato, ma anche proccupato. Non si aspettava che Viola reagisse così“. Partono le grandi manovre.
Appena il colonnello e i suoi uomini tornano a Milano coi tesori di Gelli, i due giudici passano la notte a fotocopiarle, autenticarle, firma e timbri di cancellieri. Pacchi che nascondono in archivi insospettabili: armadio al giudice Pietro Forno, magistrato che indaga sulle Formazioni comuniste combattenti. A chi può venire in mente di frugare lì? E custodia affidata alla Guardia di finanza in luogo sconosciuto ai magistrati. Vorrebbero consegnare le carte al presidente Pertini, ma Pertini sta girando l’Europa. Chiedono udienza a Forlani, capo del governo. Li accoglie il prefetto Semprini, responsabile del gabinetto del presidente. Loro sanno che Semprini sa che loro sanno perché anche il collaboratore di Forlani è fra i tesserati P2. Ma l’aspirante fratello del quale vogliono discutere col capo del governo, è il ministro della giustizia Adolfo Sarti, fedelissimo al presidente. Il quale si imbarazza appena gli mostrano la supplica a Gelli di accoglierlo nella loggia segreta, preghiera firmata. “Vorremmo ne verificasse l’autenticità”, Turone e Colombo contano le parole. Forlani controlla e sospira: “Lasciatemi riflettere”. Appena torna Pertini ecco le dimissioni.
Trent’anni fa, per la prima volta nella storia della Repubblica, il capo dello stato affida il governo a Giovanni Spadolini, politico laico e non democristiano. Tina Anselmi che presiede la commissione d’inchiesta parlamentare sulla P2 chiede a Raffaele Fiengo un rapporto: hanno lavorato assieme negli anni con Spadolini direttore al Corriere. Passeggiano sottobraccio: “Volevo farti sapere dei soldi che hanno comprato il giornale e messo fuori gioco Angelo Rizzoli il quale non può decidere niente. Decidono le finanziarie che hanno prestato i capitali agli azionisti. Sono soldi P2, ma la P2 li ha avuti dalla mafia”. È l’intreccio che non si interrompe con la scoperta di Turone e Colombo: accompagna appalti e carriere, intrighi ed insulti fino all’Italia del 2000. Ma i primi giorni sono di smarrimento. Quando il Giornale di Montanelli racconta le perquisizioni dei giudici di Milano, divide la sorpresa dell’operazione con Domenico Sica, magistrato del foro romano il quale non ha mosso un dito. Sa cosa è successo dalla tv. Forse non è propio un errore: qualcuno prepara la contromossa. Perché i documenti sequestrati contemplano le trame di Mani Pulite e altre storie che scoppieranno nel tempo.
A parte la vanità dei giornalisti in carriera come Gervaso che supplica Gelli quando vuol lasciare Resto del Carlino e Nazione per arrivare al Corriere, il Cavaliere delle tv cos’ha guadagnato? La Fininvest andava male. Debiti che Milano2 non riusciva a ripianare perché le case si vendevano col contagocce e le banche stringevano i cordoni. Ma otto funzionari della Banca Nazionale del Lavoro sono fratelli di loggia, piduista il direttore del Monte dei Paschi, piduista Ferruccio De Lorenzo, sottosegratrio di un governo Andreotti e presidente dell’Ente di Previdenza e assistenza dei medici. Grembiuli autorevoli che garantiscono fiducia e le banche aprono crediti impensabili per un’azienda ridotta così. De Lorenzo investe nei palazzi del Cavaliere, compra anche un albergo a Milano2. Comincia a nascere la leggenda dell’imprenditore che si è fatto da solo.
La fortuna non bacia tutti i 963 fratelli: per esempio Cicchitto, rivoluzionario radicale nella sinistra del Psi; la scoperta del suo abbraccio alla P2 addolora il padre nobile del socialismo Riccardo Lombardi. Cicchitto si scusa: intimidazioni, pressioni che spaventano lo hanno costretto al sacrilegio. Lombardi lo assolve invitandolo a restare lontano dalla politica “per un tempo ragionevole”. E lo sventurato china il capo, ringraziando.
Ma ricordava Gaetano Arfé, storico della politica: “Il piduismo è un momento eterno dello spirito italico. Quando sparisce la destra storica, la P2 si affaccia quale espressione di un conservatorismo rozzo e brutale, vorace e spietato, tendenzialmente eversivo”. m.ch.