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 2011  giugno 12 Domenica calendario

Italia campione del mondo: ci siamo bevuti i francesi - Nell’infinito derby del calice con la Francia siamo finalmente passati in van­taggio

Italia campione del mondo: ci siamo bevuti i francesi - Nell’infinito derby del calice con la Francia siamo finalmente passati in van­taggio. Almeno dal punto di vista quanti­tativo. Secondo i dati della commissione Ue resi noti ieri da Coldiretti, nell’ultima vendemmia 2010-11 il vigneto italiano ha superato quello francese per 49,6 mi­lioni di ettolitri contro 46,2. Un sorpasso frutto in realtà più di una flessione del dato transalpino che di un nostro scatto, ma comunque storico. E se il vino france­se gode ancora di una reputazione supe­riore in termini qualitativi (che molti in realtà pensano sia soltanto frutto del mi­to costruito in secoli di comunicazione), anche il vigneto Italia punta sulla quali­tà: il 60 per cento della produzione nazio­nale, infatti, è rappresentata da vini che godono del marchio Docg e Doc (14,9 mi­lioni di ettolitri) e Igt (15,4). Il fatto è che il made in Italy nel bicchie­re piace eccome, in tutto il mondo. Lo dimostra il fatto che malgrado la grave crisi economica internazionale, nel 2010 le esportazioni di etichette italiane sono cresciute del 9,8 per cento in termi­ni di valore e dell’8,1 per cento in termini di quantità.Sempre nel 2010 l’Italia è sta­to il primo Paese esportatore di vino in termini di quantità, con 15,6 milioni di ettolitri, davanti a Spagna (14,5), Francia (14,1) e Australia (7,0), e il secondo in ter­mini di valore con 3.878 milioni di euro, naturalmente dietro la Francia che, con 6.326 milioni di euro, si avvantaggia del maggiore prezzo medio della singola bot­tiglia. Trend confermato anche nei primi mesi del 2011, con un aumento del 15 per cento nel primo bimestre e una cre­scita record del 31 per cento negli Stati Uniti.Ma Prosecco,Barolo e Nero d’Avo­la piacciono anche nei nuovi- enologica­mente parlando - mercati, come Russia, Cina (qui addirittura nel 2010 la doman­da di vino italiano è raddoppiata rispetto all’anno precedente), Giappone e Brasi­le. A favore nostro gioca la nuova tenden­za del gusto internazionale, che sembra avere finalmente accantonato i vini dal gusto ruffiano e morbido a favore di quel­­li tipici anche nelle loro asperità: un terre­no sul quale l’Italia è praticamente im­battibile con le centinaia di varietà au­toctone che danno vita a una tavolozza di aromi e sapori praticamente infinita. E in fondo che tipico è bello lo dimostra anche il boom dei piccoli produttori sot­to i 25 milioni di euro di fatturato, le cui esportazioni sono cresciute in valore del 16 per cento, quasi il doppio dell’8,5 per cento messo a segno dalle prime 103 so­cietà italiane produttrici di vino. A questi sorrisi internazionali corri­sponde un certo broncio sul fronte inter­no: negli ultimi anni la domanda di vino in Italia si è contratta. Nel 2009 (dati No­misma) il consumo annuo pro capite è sceso per la prima volta sotto i 40 litri. Decenni fa, quando il vino era un distri­butore di calorie a basso prezzo, il dato era più che doppio. Colpa dei nuovi stili di vita, che colpevolizzano l’alcol, anche quello «buono» (se assunto in modica quantità, naturalmente). Ma colpa an­che della concorrenza sempre più spre­giudicata, soprattutto nel pubblico dei giovani, di birra e dei cosiddetti popcoho­lics . Le strategie per risalire la china sono secondo gli addetti ai lavori di due tipi: una comunicazione che fornisca mag­giori informazioni e sottolinei maggior­mente i vantaggi per la salute del bere vino consapevolmente e l’aspetto cultu­rale del vino nostrano; e una strategia complessiva che preveda una maggiore collaborazione tra i produttori, tuttora poco stimolati a fare squadra, e un mag­giore coinvolgimento delle istituzioni. Ma ci sono anche azioni più limitate che potrebbero servire: come una maggiore collaborazione dei ristoratori nel tenere bassi i ricarichi e nello studiare forme al­ternative di somministrazione, come l’offerta al calice, il bottle share ( la condi­visione della bottiglia tra più tavoli) e la doggy-bottle (la possibilità di portarsi a casa la bottiglia non interamente consu­mata). Perché, come dimostrano il boom dell’enoturismo, il crescente suc­cesso dei gadget enologici e dei corsi di degustazione più o meno professionali e il fiorire sul web di blog dedicati al vino, vera alternativa democratica e fai-da-te alle guide paludate, la voglia di bere be­ne è sempre di moda.