Giordano Stabile, La Stampa 14/6/2011, 14 giugno 2011
È cominciato ieri al Tribunale speciale di sicurezza del Bahrein il processo a 48 medici e infermieri accusati di aver aiutato gli insorti durante la rivolta del marzo scorso
È cominciato ieri al Tribunale speciale di sicurezza del Bahrein il processo a 48 medici e infermieri accusati di aver aiutato gli insorti durante la rivolta del marzo scorso. In sedici sono comparsi in aula, gli uomini con la testa rasata, le donne con il velo, visibilmente provati dai due mesi di detenzione. Erano stati arrestati durante la repressione quando cinquemila militari sauditi erano intervenuti per puntellare la traballante la monarchia retta dallo sceicco Hamad bin Isa Al Khalifah. È il 16 marzo, nella capitale Manama i dimostranti vengono spazzati via dal Pearl Square, occupata per settimane sull’esempio di piazza Tahrir al Cairo. Tra il 16 e il 18, gli scontri continuano, durissimi. Ufficialmente i morti sono una decina, centinaia i feriti. Molti vengono portati al Salmaniya Hospital, il più importante della città. I medici lavorano giorno e notte. Tra loro anche volontari, simpatizzanti della rivoluzione. Il 21 l’ospedale viene investito dalle forze paramilitari, che arrivano a bordo di blindati. Dottori e infermieri vengono arrestati, il complesso setacciato per scovare di dissidenti, vengono portati via alcuni feriti. E, sostengono le autorità, trovate pistole e fucili mitragliatori. Per i medici le accuse sono pesanti. Complicità nei disordini, detenzione illegale di armi, sequestro di persona. Ora il processo, giudicato «illegale» dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani. Protesta Medici senza frontiere. David Michalski, responsabile della ong nel Paese, parla di accuse «politiche»: «Il personale medico deve essere libero di curare qualsiasi persona, in qualsiasi situazione. Salamniya è militarizzato da marzo. Il risultato è che molti pazienti, soprattutto se feriti nelle ultime manifestazioni, non sanno dove andare. E questo processo aggraverà ancora la situazione». Con l’aiuto dei sauditi - che esercitano una sorta di protettorato su quest’isola grande tre volte l’Elba, 800 mila abitanti, piazzata in mezzo al Golfo Persico e alla più ricca rotta del petrolio del mondo, il regno del Bahrein è riuscito a riportare la situazione sotto controllo. Ma non può permettersi cedimenti perché la dinastia sunnita che regna dalla fine del Settecento si deve confrontare con una popolazione in gran parte sciiti e un vicino ingombrante, l’Iran, dall’altra parte del Golfo. Per questo gli attivisti si aspettano pene severe. «È un processo spettacolo - commenta Kevin Burnand, professore del St Thomas’s hospital di Londra, in costante contatto con i colleghi arrestati -. Saranno condannati». Per un’altra dissidente, la poetessa Ayat al Gormezi, la condanna è arrivata ieri. Un anno di carcere, ma dopo una detenzione preventiva da incubo. Al Gormezi, 20 anni, era diventata il simbolo della rivoluzione per aver declamato davanti la folla accampata a Pearl Square una poesia che criticava la monarchia. La madre, Sa’ada Hassan Ahmed ha riferito al quotidiano londinese The Independent , il suo racconto: «L’hanno messa in una cella di due metri per due con l’aria condizionata la massimo, la temperatura era quasi a zero. La picchiavano sulla bocca con un cavo elettrico. Le facevano pulire le latrine a mani nude». Il ritorno all’ordine prevede anche questo.