Federico Rampini, la Repubblica 14/6/2011, 14 giugno 2011
L’AMERICA STRESSA I PICCOLI EINSTEIN
Eze Schupfer studia da un anno per raggiungere l´obiettivo. Deve piazzarsi «oltre il 97° percentile», ovvero nel minuscolo 3% al vertice della piramide: il top degli allievi superdotati a cui si spalancano le porte degli istituti più elitari. Quando Eze si mette al suo minitavolo da lavoro, per quanto questo sia su misura, le sue scarpine non arrivano a sfiorare il suolo.
Eze non ha ancora compiuto tre anni. I suoi genitori, newyorchesi, l´hanno iscritta quando ne aveva solo due al Junior Kumon Preschool Enrichment Program. È una delle scuole private che in America si rivolgono a un nuovo mercato: l´addestramento dei bambini prima della scuola materna. È un boom competitivo che conquista le prime pagine del New York Times e del Wall Street Journal, genera «supplementi speciali» su giornali e magazine per impartire consigli ai genitori. Lo scopo è trasformare i figli in piccoli Einstein, che riescano a qualificarsi nelle prove per gli asili nido riservati ai superdotati. Da lì, potranno spiccare il volo verso le migliori scuole private, e in seguito sarà più facile puntare a Harvard, Stanford, le grandi università di élite.
La carriera di un genio si programma appena il pupo muove i primi passi. «Per cominciare a studiare con noi basta che si siano tolti il pannolino», spiega Joseph Nativo, direttore finanziario della filiale Kumon per gli Stati Uniti. Questa catena di istituti privati specializzata nelle ripetizioni scolastiche ha 250 mila iscritti in America, ed è la sua sezione junior per i bambini in età pre-asilo quella che cresce più velocemente, al ritmo del 30 per cento in più ogni annuo. Solo a New York ci sono trentasei filiali, e quattordici nuove apriranno quest´anno. Si inaugurano più Kumon che caffè Starbucks. Il programma «minimo»: due sedute settimanali di allenamento alla scrittura e all´aritmetica, a cui va aggiunta almeno mezz´ora al giorno di compiti a casa sotto supervisione di un adulto, familiare o tata diplomata. Molti genitori dopo questo esordio chiedono di più. In palio c´è la possibilità che bambine e bambini vincano il concorso d´iscrizione alla Anderson School nell´Upper West Side di Manhattan, o riescano a entrare alla Tag Young Scholars nell´Upper East: due degli istituti che accettano solo piccoli geni. «90 moltiplicazioni in sei minuti» è un buon parametro per misurare quel che un bambino deve essere in grado di fare prima di aver compiuto il sesto anno, l´età teorica dove ha inizio la scuola dell´obbligo. Aspettare i sei anni a trastullarsi con i giochi, sarebbe una follia. Né bastano le soluzioni tradizionali come ingaggiare una ragazza alla pari che insegni una lingua straniera ai figli appena svezzati. Così almeno la pensano quei genitori iper-competitivi, che in massa si precipitano a iscrivere i figli alle prove di ammissione per i Gifted Programs (programmi per bambini superdotati). Ne sa qualcosa Emily Glickman, la presidente dell´Abacus Guide Educational Consulting, che assiste i genitori nel percorso a ostacoli verso le superscuole. «Negli ultimi due anni» dice la Glickman «c´è stata una escalation spettacolare, sia nella quantità di lavoro necessaria per assicurarsi l´accesso a una scuola materna di élite, sia nella durezza della competizione e nell´incertezza dell´esito».
Sempre più numerosi, sempre più preparati, sono i bambini in gara per quei pochi e ambiti posti. Tra gli esperti in pedagogia abbondano gli avversari di questa nuova ossessione. «Nel migliore dei casi questi sforzi sono del tutto inutili» scrive sul Wall Street Journal lo psicologo Alison Gopnik, docente all´università di Berkeley, «ma si possono anche fare dei danni. L´eccesso di competitività mi fa pensare all´alce irlandese, i cui esemplari maschi si misurano fra loro in base alla stazza delle corna. Il risultato è che queste bestie barcollano sotto il peso di corna giganti, ipertrofizzate, e inutili. Credo si possa dire la stessa cosa di tanti genitori americani con bambini dal pre-asilo in su».
Eppure i pareri contrari non fanno desistere genitori come Gina Goldman, convinta che l´aver iscritto suo figlio al corso Kumon prima dei cinque anni sia «nel suo interesse, perché non parta sfavorito verso gli altri, perché così funziona la vita reale». E poi «questi corsi danno un formidabile sostegno all´autostima».
Nella borghesia medioalta, si scopre, le «mamme-tigri» abbondano: decise a investire ogni risorsa finanziaria e psichica per lanciare la prole verso traguardi elevati. Questi genitori non hanno aspettato che il libro autobiografico di Amy Chua raccontasse all´America intera come sono dure ed esigenti le mamme cinesi. Il modello confuciano aveva attecchito già prima, nella élite. Infatti Kumon è la filiale americana di una società giapponese, numero uno mondiale nei programmi di ripetizioni private in matematica e lettura. Proprio come i figli della élite cinese, sudcoreana o giapponese, questi bambini dell´America benestante sono sottoposti a una pressione micidiale: all´addestramento di matematica e calligrafia, si aggiungono dalla più tenera età i corsi di nuoto, pianoforte, arti marziali, almeno una lingua straniera (mandarino e tedesco le più gettonate).
La psicologa Kathy Hirsh-Pasek ha scritto un saggio, Einstein non usò mai le schede didattiche, per smontare quella che considera una vera e propria follia. «Imporre ai bambini degli sforzi così ripetitivi, per cominciare a memorizzare le tabelline a due anni» dice «non è una garanzia che in futuro siano i migliori. Il loro coetaneo che ha passato la prima infanzia a trastullarsi con la sabbia nei giardini può avere più fantasia, più creatività, più talento nella comunicazione e nella cooperazione sociale con i suoi simili. Probabilmente sarà lui, il bambino che gioca con la sabbia, l´inventore del futuro i-Pad. Quegli altri, che per colpa dei genitori stanno memorizzando cifre a tutto spiano, saranno comunque spiazzati da tanti bambini cinesi e indiani che si sforzano ancora di più». Nessuno nega che l´istruzione sia la chiave per il futuro dei nostri figli e nipoti, conclude la Hirsh-Pasek, «ma si tende a sottovalutare quanto sia profondo l´apprendimento che avviene quando i bambini vengono lasciati a giocare in santa pace».