Carlo Bertelli, Corriere della Sera 14/6/2011, 14 giugno 2011
Un giovane «robusto e dall’aria un po’ infantile» passeggia per Boulevard du Montparnasse. Indossa una t-shirt bianca con la vistosa scritta Sorry, I’m Italian
Un giovane «robusto e dall’aria un po’ infantile» passeggia per Boulevard du Montparnasse. Indossa una t-shirt bianca con la vistosa scritta Sorry, I’m Italian. Quest’episodio scatena in Giovanni Lista, storico dell’arte assai noto in Italia, ma che da decenni vive a Parigi, una lunga serie di riflessioni. Che cosa vuol dire essere italiano all’estero, quali stereotipi ci vengono accollati, e perché l’italiano, che tale rimane nonostante tutto, nonostante le notizie negative dal suo Paese, conserva gelosamente i profondi legami con la patria? Queste domande, insistenti e sofferte lungo tutto il libro, conducono ad una inaspettata e sorprendente ricerca sul simbolo che unisce gli italiani, che è lo «stellone» d’Italia, la stella protettrice che vediamo sulle mostrine dei nostri soldati, sui monumenti civici, sulla bandiera tricolore, nella carta intestata della Repubblica, forse anche invocata in un discorso di Ciampi che invitava gli italiani a «guardare le stelle» . Il desiderio di verità spinge lo storico a risalire al concorso in cui fu approvato l’emblema della Repubblica, che è un emblema, appunto, e non uno stemma, che sarebbe stato legato ad un’idea di Medioevo. E così ritrova le testimonianze di un sincero attaccamento alla stella in un mare sterminato di documenti, dalle stampe popolari del Risorgimento alle vignette politiche dei quotidiani, oppure negli affreschi allegorici dei nostri edifici pubblici e scopre le rappresentazioni della stella d’Italia, non senza sorpresa, come richiamo costante nelle raffigurazioni del Rinascimento, fino a che la stella diviene segno categorico che indica l’Italia nel trattato iconografico, che ebbe grande successo, pubblicato da Cesare Ripa nel 1603. In questo ricorrere costante e frequente di un’immagine identitaria, insieme al trasparente attaccamento sentimentale che ha suscitato nel tempo, secondo l’autore non può non avere radici storiche più profonde dell’occorrenza effimera. È così che Lista sbarca ad Afrodisia, la città di Afrodite, e all’appropriazione che della dea fanno i Romani, convertendola in Venus genitrix, l’astro fulgente e la buona stella della gens Iulia, il punto luminoso che appare due volte nel cielo, ora come Phosphoros, al mattino, ora come Hesperos la sera, suggerendo ai Greci il nome della stella della sera per denominare la terra che sorge al di là del mare, ad Occidente, ch’essi chiamano Esperia, e che è la nostra Italia. Il secco riassunto che qui presento non rende ragione del tono alto e appassionato del libro, né della sua vasta e onnivora erudizione, che spazia dalla poesia e dalla letteratura alle umili fonti popolari. Soprattutto non può dar conto della sua intensa e disperata nostalgia di patria. Il libro Giovanni Lista, «La Stella d’Italia» , Mudima, pp. 640, e 50