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 2011  giugno 12 Domenica calendario

LA SORELLA DEL NUOVO OSAMA: «MIO FRATELLO AL ZAWAHIRI COSI’ TIMIDO E SILENZIOSO»

«Spero d’essere ospitale come lo siete voi in Italia…». C’è calca, al National Cancer Institute del Cairo. Sotto il sole malato di smog, qualche paziente è sdraiato sull’asfalto, fra immondizia e auto posteggiate sul Lungonilo. Dentro, peggio che fuori: mosche, stracci marci, secchiate d’acqua nera. Bambini calvi e giallastri con le madri, sedute nei corridoi, che li fissano mute. Padri che pregano fra scatoloni di medicine scadute. Chi urla e spintona pur d’oltrepassare qualche porta. Se chiedi della professoressa Heba, tutti la chiamano così, solo Heba, «il dono di Dio», ti dicono subito che non c’è. Oppure che è in America (in America!). O che è di riposo. O che se sali al sesto piano, stanza 2601 dov’è scritto «Capo del Dipartimento», forse la segretaria sa… Sono le cautele che la professoressa Heba prende da dieci anni. Sotto Mubarak, era quasi impossibile incontrarla. Ora, è solo molto difficile: «Innanzi tutto, io sono un’oncologa - per la prima volta, accetta di parlare col Corriere della Sera -. E non voglio che ne esca danneggiata la mia professione. Sa, faccio parte dell’Arab American Cancer Foundation e dell’Eortc, l’Organizzazione europea per la ricerca sul cancro. Lavoro due giorni la settimana in una clinica privata, vado ai congressi. In questi anni, sono venuta nel vostro Paese quattro volte. A Roma, a Milano, una volta sul lago Maggiore, un posto bellissimo… Ci tornerò anche a luglio». Offre caffè in tazzine arabescate: «Mi piace l’Italia e spero d’essere ospitale come lo siete voi. Perché, lo capisco, il mio cognome spesso spaventa».
Il suo cognome è Al-Zawahiri. Professoressa Heba Mohamed Al Zawahiri, 57 anni. La sorella del nuovo capo di Al Qaeda. Fra tre mesi saranno giorni di festa, per lei: mentre il mondo ricorderà i tremila morti dell’11 Settembre, il decennale, proprio in quelle ore il ministero della Salute egiziano le farà giungere, insciallah, la sospirata nomina a direttrice del dipartimento oncologico. Contenta? «Da quando hanno detto che Bin Laden è morto, tutti mi parlano soprattutto del nuovo ruolo di mio fratello» : il dottor Ayman, il medico con gli occhiali che prima compariva di fianco a Osama e, mercoledì, è ricomparso in video da solo. A promettere nuove stragi: «Cosa penso di lui? Non la vivo come una grande svolta...» . La dottoressa Heba ne parla senza emozione, mischia sentimento con propaganda: «Numero 1 o 2 di Al Qaeda… E’ lo stesso. E’ solo una questione di termini. Le prove che Osama e Ayman abbiano abbattuto le Torri gemelle sono uguali alle prove che in Iraq c’erano armi di distruzione di massa. Oggi Ayman è diventato il riassunto di tutti i nemici possibili. Gli americani hanno bisogno di dare nuovi stimoli a chi deve dargli la caccia. Loro lo considerano l’estremo nemico, lui sa di rappresentare il sentimento religioso e si sente un simbolo: per questo fa i video. Quando lo vedo in tv, per me è un essere umano e basta. E so chi è davvero: vada qui giù in strada e chieda alla gente chi preferisce, fra al-Zawahiri e l’America! Poi mi dica le risposte…» . Lo studio di Heba al-Zawahiri è d’arredo minimo. Nove sedie, due tavoli, un piatto argentato con la testa d’un Faraone, un microcavallino di Limoges che traina due bambini sul carretto, un frigo, schedari, riviste mediche, un tappetino verde per la preghiera, un versetto del Corano su una targa placcata: Chiedo l’aiuto di Allah/contro il male che mi hanno fatto… E’ mai venuto qui, suo fratello? «Sono trent’anni che è fuori dall’Egitto!» . Il ritratto di famiglia è un interno che prescinde dall’inferno: «Mia mamma, morta l’anno scorso, conservava le poesie che lui le scriveva. A volte con Umnya, la sua gemella, ci chiediamo: lo rivedremo mai? Ayman e Umnya compiono sessant’anni fra qualche giorno. Lei era chimica in un’industria farmaceutica, ma ha deciso di fare la casalinga. E’ depressa, soffre, fatica a parlare anche col resto della famiglia. I gemelli hanno questo tipo di rapporto. Non credo che vedremo mai più nostro fratello. E allora, preghiamo solo che non lo catturino. Ma anche se lo catturano, che la storia tratti lui e Bin Laden come Omar al-Mukhtar...» . Il Leone del Deserto libico che combatté i colonialisti italiani. «Sì: tutti ricordano il nome di Omar, nessuno ricorda il nome di chi lo fucilò». Gli Zawahiri sono un nome, al Cairo. Gente che prega, studia. E sta bene: belle case, nel quartiere residenziale del Maadi, una quarantina fra medici, ambasciatori, giudici, ex deputati. Il padre del terrorista più ricercato del mondo era un farmacologo. I due fratelli più piccoli, architetti: uno, Mohammed, vice emiro del Jihad e fondatore della cellula albanese dei qaedisti, per anni considerato morto, è in realtà rinchiuso a Tora, il «carcere degli scorpioni» del Cairo, poco lontano dalle celle dei figli di Mubarak. «Studiare, in casa nostra era un dovere. Ayman era di tre anni più vecchio di me. Mi ha convinto lui a diventare dottoressa. Quando se ne andò, io avevo due figli piccoli. Fu un momento difficile, lui era il nostro riferimento. Ayman non è uno capace di compromessi. Vede tutto bianco o tutto nero. Questo è il suo problema. Io non so perché è diventato così radicale. Era uno timidissimo. Silenzioso. Pregava e studiava. Ora è uno che alza il dito e parla faccia a faccia. Chissà, forse c’entra quando l’hanno torturato in prigione…» . Heba parla di politica, dura, perché in famiglia così s’è sempre fatto. Un suo prozio fondò la Lega araba. Un altro fu rettore della millenaria università di al-Azhar, scelta da Obama due anni fa per il suo discorso al Cairo: «Nessuno odia gli americani come tali; sono i loro presidenti, che odiamo! All’inizio, c’era un po’di fiducia in questo Obama che aveva chiuso Guantanamo. Ma già quando venne alla nostra università, settanta professori rifiutarono l’invito. S’era capito subito il suo gioco. Che ci fa ancora in Afghanistan? Non è finalmente morto Bin Laden? Non vedremo nulla di buono da un presidente che ha avuto così poco rispetto per il popolo egiziano da arrivare qui in jeans e t-shirt! Ma la conosce la nostra millenaria storia? Ora offre soldi al nuovo Egitto, ma sta mentendo: lo fa per paura e perché le cose non cambino affatto» . A gennaio, confusa fra migliaia di ragazzi, in piazza Tahrir c’era anche la professoressa: «Tutti i giorni, fino a sera. Stavo lì ore. Ho preso anche dei permessi dal lavoro» . Una Zawahiri in quella protesta fa temere il peggio… «Non ci sono legami fra questa rivoluzione e quel che voi temete. Io sono una musulmana al 100 per cento, ho ricevuto un’educazione molto tradizionalista. Ma in quella piazza vedevo gente che chiedeva lavoro, pane, libertà, non religione. Poi tornavo a casa, accendevo la Cnn e che facevano vedere? Solo immagini di ragazzi che pregavano. Seminano panico, ma il nuovo Egitto non c’entra con Hamas o con l’Iran. E’presto per dire cosa succederà. Io, per esempio, non sono affatto sicura di votare i Fratelli musulmani: dipenderà da chi mettono in lista» . La madre di Heba era una che negli anni ’60 passeggiava per il Cairo senza velo. Oggi, la professoressa compare velata perfino a pagina 28 della pubblicazione annuale ospedaliera: «Che c’è di strano? -si scalda -L’Occidente deve capire che la religione è una colonna della vita. Va rispettata come si rispetta il lavoro. In Europa avete impiegato secoli, a riconoscere i diritti di chi lavora: che aspettate a riconoscere i diritti di prega?» . Per la verità, ognuno fa quel che vuole… «Allora, siccome voi italiani siete così ospitali, se vengo a Milano a lavorare nell’équipe del professor Veronesi, lui non può chiedermi di togliere il velo in reparto. Giusto?» . Giusto… «Deve solo chiedermi d’essere una brava oncologa, giusto?» Giusto… «Se però mi chiede di cambiare stile di vita, io che scelta ho? E’quello che succede a molti musulmani. Devono tornarsene a casa, per giocare un’altra partita. Che non è più la vostra» . Francesco Battistini © RIPRODUZIONE RISERVATA
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