Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 11 Sabato calendario

IL POKER ONLINE SUL FILO DEL RICICLAGGIO

«Può essere pressante. Può essere eccitante. Può essere imprevedibile». Lo spot inizia con queste parole e l’immagine di una maglietta con il numero 1. Stacco su un primissimo piano di Gigi Buffon. Non si sta parlando di calcio. E neppure di scommesse, ovviamente. Ma di un gioco d’azzardo. L’inquadratura si dilata fino a mostrare il portiere della Nazionale seduto a un tavolo da poker con cinque altri giocatori.

Buffon è il testimionial d’eccezione di PokerStars.it, il sito italiano della più grande società di poker online al mondo, una straordinaria macchina da soldi nata nel 2001 e cresciuta per dieci anni vivendo una vita spericolata sul filo della legalità. Fondatore e maggior azionista: un canadese ex programmatore della Ibm di nome Isai Scheinberg. Quartier generale della holding, la Reel, nel paradiso fiscale dell’Isola di Man.

«Può essere pressante. Può essere eccitante. Può essere imprevedibile». Ma può essere anche riciclaggio di denaro. Perlomeno è quello che pensa la procura federale di New York, distretto Sud. Quello duro e combattivo di Manhattan, dove Rudy Giuliani si è fatto le ossa misurandosi con Cosa Nostra d’Oltreoceano.

Nonostante nell’ottobre 2006 il Congresso avesse varato una legge che proibiva qualsiasi transazione finanziaria legata al gioco d’azzardo in rete, il sito PokerStars.com aveva continuato a far giocare, incassare puntate e pagare vincite a centinaia di migliaia di giocatori americani. Armato di un discutibile e strumentale parere legale che definiva il poker online un gioco di abilità e non d’azzardo, e contando sul fatto che la legislazione non vietava espressamente il poker online. In questi cinque anni sull’orlo del baratro giudiziario è riuscito a macinare miliardi di dollari e incassare profitti come non mai.

Fino al 15 aprile scorso, quando l’erede di Giuliani, Preet Bharara, ha rotto l’incantesimo dell’immunità con un’ordinanza di rinvio a giudizio per Scheinberg e altre 10 persone ai quali ha contestato il reato di gioco d’azzardo illegale, frode bancaria e, per l’appunto, riciclaggio di "miliardi di dollari".

È ovviamente ancora tutto da provare, ma le informazioni contenute nell’ordinanza di rinvio a giudizio, e la recente decisione di alcuni co-imputati di collaborare con gli inquirenti in cambio di una riduzione della pena, non promettono nulla di buono per Scheinberg.

La procura di New York sostiene di avere le prove del fatto che il fondatore di PokerStars avrebbe per anni violato la legge che proibisce lo scambio di denaro in attività di gioco d’azzardo online appoggiandosi a una serie di società di facciata gestite da terzi. In pratica nel 2007 e 2008 PokerStars e altre due società di poker online - Full Tilt e Absolute Poker - avrebbero aggirato la normativa sulle transazioni finanziarie usando lo schermo di siti fittizi di vendita di prodotti sportivi - dalle palline da golf alle biciclette - attraverso i quali hanno fatto transitare miliardi di dollari di costi di partecipazione a tornei di poker online, puntate e vincite dei giocatori. A partire dal 2009 avrebbero poi fatto un salto di qualità, arrivando a comprarsi partecipazioni in piccoli istituti di credito in difficoltà per via della crisi finanziaria - come la SunFirst Bank di St. George, nello Utah - ai quali avrebbero poi fatto gestire la movimentazione di fiumi di denaro generati dal poker elettronico.

«Può essere pressante. Può essere eccitante. Può essere imprevedibile». Ma per Scheinberg, adesso potrebbero essere anche 15 anni di galera. Oltre che la confisca della sua fetta dei 3 miliardi di dollari apparentemente generati dalle frode.

Comunque si concluderà, il processo a New York probabilmente metterà fine all’incredibile ascesa di PokerStars. Perché ha già avuto l’effetto di prosciugare il suo mercato più ricco - quello americano, in cui la società ha annunciato di aver «interrotto l’offerta di giochi di poker con soldi veri» - e rischia di avere forti ripercussioni anche su quelli secondari. Inclusa l’Italia, che non è l’America ma una fonte di profitti comunque rilevanti. Nel nostro Paese, PokerStars.it è infatti il sito leader del poker in termini di raccolta, con più di 700 milioni di euro all’anno. Il che significa oltre 70 milioni di profitti per la casa madre.

Anche qui come in America, PokerStars è cresciuto operando sul filo della legalità. «Dall’ottobre 2008, quando ha ottenuto dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (Aams) la concessione per operare legalmente in Italia con il sito .it, PokerStars ha continuato per lungo tempo a tenere attivo per i giocatori italiani anche il sito .com. Privando così lo Stato dei proventi delle imposte dovute sul loro gioco», denuncia un concorrente che chiede l’anonimato. «Effettivamente i Monopoli per mesi chiusero un occhio - o forse entrambi - lasciando operare PokerStars sul .com senza imporre di traghettare i giocatori italiani sul .it, cosa che ha invece fatto nel giro di due giorni il 31 luglio 2009, quando è entrata in vigore la legge 88 che puniva esplicitamente qualsiasi società che raccogliesse gioco attraverso siti non autorizzati», conferma una fonte legata a PokerStars.

Altrettanto borderline è il fatto che titolare della concessione fosse una società con azionisti non dichiarati con sede legale in un paradiso fiscale. Il che ha permesso per anni a Reel, come società extracomunitaria, di non pagare l’Iva su una serie di spese sostenute come quelle pubblicitarie.

Questo è andato avanti fino al 6 settembre scorso, quando è stata registrata Reel Italy Ltd in un’isola un po’ meno offshore, quella di Malta. Anche se delle sue 1.165 azioni, 1.164 sono comunque della Reel di Man. E l’ultima di una società delle Isole Vergini britanniche. Adesso si è aggiunto il macigno delle vicende giudiziarie newyorkesi. Per ora i Monopoli non hanno reagito. Ma nel mondo ultracompetitivo del gioco online i concorrenti hanno già fiutato odore di sangue. Forse pungolato da uno di loro, il 3 maggio scorso il deputato dell’Idv Elio Lannutti ha presentato un’interrogazione al Governo chiedendo «quali iniziative intenda adottare al fine di verificare che l’operatività di PokerStars... avvenga secondo i principi della norma di trasparenza».

I Monopoli hanno continuato a nicchiare. L’Articolo 23, comma 2, lettera a dello schema di concessione recita: «Aams procede alla decadenza della concessione... quando nei confronti del concessionario siano state adottate misure cautelari o provvedimenti di rinvio a giudizio per tutte le ipotesi di reato di cui alla legge 19 marzo 1990, numero 55, nonché per ogni altra ipotesi di reato suscettibile di far venire meno il rapporto fiduciario con Aams». Il testo non dice specificatamente che il rinvio al giudizio o il reato debbano necessariamente essere di giurisdizione italiana. Ma certamente l’accusa di riciclaggio di miliardi di dollari attraverso società fittizie potrebbero far venire meno «il rapporto fiduciario» con l’Aams.

Soprattutto a un mese dall’introduzione del "cash game", un’innovazione che gli addetti ai lavori ritengono stimolerà un nuovo boom del poker online. Se infatti fino a ora è stato possibile partecipare soltanto a tornei con una quota massima d’ingresso di 250 euro, senza limiti al numero di tornei quotidiani o mensili, da luglio sarà concesso puntare fino a mille euro per sessione di gioco, e cioè per singola "mano". La durata media della partecipazione a ciascun evento si potrà quindi ridurre anche a soli 30/40 secondi. Il che ovviamente moltiplicherà non di poco sia la posta sia le perdite in gioco.

Da parte sua PokerStars ha emesso un comunicato in cui «nega categoricamente la fondatezza dei capi d’imputazione contestati il 15 aprile 2011 dal dipartimento di Giustizia degli Usa». E aggiunge che «l’offerta dei giochi da parte di PokerStars in Italia non è stata assolutamente coinvolta in tali eventi. La società sta collaborando con Aams e lo stato della propria concessione italiana rimane invariato».