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 2011  giugno 11 Sabato calendario

CASO FIAT IRRIPETIBILE IN EUROPA

In Europa, vale a dire in Francia, piuttosto che in Germania piuttosto che in Gran Bretagna, potrebbe verificarsi un caso Fiat? O meglio porsi, come si sta ponendo in Italia, la necessità di intervenire sui meccanismi della rappresentanza sindacale e sull’estensione erga omnes o meno dei contratti? La risposta, a leggere l’attuale quadro normativo, è no. No cioè alla prima domanda. E no alla seconda.

Per comprenderlo bisogna avere chiara quella che si potrebbe definire come una peculiarità italiana: cioè il fatto che esistono più livelli contrattuali che nella maggior parte dei casi si sovrappongono (spesso i lavoratori hanno cioè sia il contratto nazionale che quello aziendale) e il fatto che più sindacati rappresentano la stessa platea di lavoro (consideriamo come esempio i metalmeccanici: tre sigle, Fim, Uilm e Fiom per la medesima categoria di lavoratori). Si tratta di due condizioni che non vengono replicate in altri Paesi europei o perché spesso le categorie professionali sono rappresentate da un solo sindacato (come, prendiamo sempre ad esempio i meccanici, l’Ig Metall in Germania) o perché i lavoratori sono inquadrati da un solo livello contrattuale (è il caso della Gran Bretagna dove i contratti sono o aziendali o individuali).

Fatta questa premessa è possibile dividere i paesi Ue sostanzialmente in due macro-gruppi. Da una parte abbiamo Paesi che riconoscono agli accordi collettivi di lavoro stipulati con i sindacati un’efficacia erga omnes. In questi Stati la trattativa per il rinnovo del contratto viene solitamente portata avanti solo da alcuni sindacati "maggiormente rappresentativi" e non vi alcun obbligo per il datore di lavoro di trattare con i sindacati minori. Per contro vi sono Stati come la Svezia, il Portogallo, la Grecia in cui i datori di lavoro sono obbligati ad avviare trattative con tutti i rappresentanti dei lavoratori. In questi Stati, generalmente gli accordi conclusi da un sindacato valgono solamente per gli iscritti.

Nel dettaglio sono comunque tre i Paesi da analizzare, per dimensione del sistema produttivo e per composizione del mercato del lavoro: Francia, Germania, e Gran Bretagna. Dunque, la Francia dal basso tasso di sindacalizzazione – solo infatti l’8% dei lavoratori è iscritto al sindacato – ha rivisto la legge sulla rappresentanza nel 2008. L’intesa che interviene su una vecchia normativa risalente al 1966 è il frutto dell’accordo tra due organizzazioni datoriali, il Medef e la Confederazione generale delle piccole e medie imprese, e due confederazioni sindacali, Cgt e Cfdt. La novità principale è che se in precedenza erano ammesse alla negoziazione le cinque confederazioni sindacali considerate più rappresentative a livello nazionale, Cfdt, Cfe-Cgc, Cftc, Cgt e Cgt-Fo, ora i contratti (settoriali o aziendali) sono validi se firmati da sindacati che insieme rappresentano la maggioranza dei dipendenti. Una regola fissata, appunto nel 2008, e destinata però a durare solo cinque anni: nel 2013 un sindacato per essere rappresentativo e di conseguenza ammesso alla contrattazione dovrà ottenere almeno il 10% dei voti alle elezioni sul posto di lavoro.

In Germania non si pone un problema di gestione della rappresentanza. A semplificare il quadro la presenza di un sindacato unico che negozia. Secondo le statistiche della Fondazione Hans-Böckler, un centro-studi legato alla federazione sindacale Dgb, la percentuale dei lavoratori tedeschi il cui rapporto di lavoro è regolato da un contratto collettivo è calata tra il 2005 e il 2009 dal 56 al 52 per cento. In un paese federale, il contratto collettivo non è nazionale, bensì tendenzialmente regionale, come dimostra il caso dell’industria. Là dove non interviene la contrattazione collettiva ma scatta quella individuale, ci sono i consigli di fabbrica a fare da interfaccia tra il datore di lavoro e i dipendenti. In questo caso l’intervento non è relativo al rapporti di lavoro ma all’organizzazione complessiva delle condizioni di lavoro. Poche regole per la Gran Bretagna, dove il 17% dei lavoratori del settore privato è iscritto al sindacato, la percentuale sale al 50% nel pubblico impiego. Non ci sono contratti nazionali ma aziendali. Nel caso un’azienda non avesse effettuato una sua contrattazione, esistono per le diverse tipologie di impresa e per le varie categorie professionali dei contratti standard che fissato alcuni paletti a cominciare dal livello salariale minimo garantito.