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 2011  giugno 11 Sabato calendario

PETROLIO, RIAD AVANTI DA SOLA

Dopo il clamoroso fallimento dell’ultimo vertice dell’Opec, terminato con l’ammissione dell’impossibilità a raggiungere un accordo tra i dodici Paesi membri, l’Arabia Saudita ha deciso di rompere le righe: si accollerà da sola quasi tutto il rialzo di produzione su cui aveva sperato fino all’ultimo di ottenere il consenso del Cartello. Il suo output di greggio salirà dagli attuali 8,8 milioni di barili al giorno fino a «oltre 10 milioni» in luglio, un livello che Riad non raggiunge da almeno un decennio e che la riporterebbe in testa alla classifica dei produttori mondiali, da tempo dominata dalla Russia.

La notizia, apparsa sul quotidiano saudita Al Hayat – e dunque praticamente ufficiale, in un Paese dove la libertà di stampa è una chimera – ha riportato alla mente vicende storiche quasi dimenticate, ma che ancora turbano la memoria dei petrolieri: l’«oil crash», lo schianto dei prezzi fin sotto 10 dollari al barile nel 1986, era stato provocato in gran parte dall’Arabia Saudita, che stanca di assumersi da sola il peso di tagli di produzione, decise di aprire al massimo i rubinetti, per riprendersi le quote di mercato che le erano state sottratte dall’Iran. Anche oggi il contrasto con Teheran è alle stelle, nella rinnovata ostilità tra sciiti e sunniti risvegliata dalla primavera araba.

Interpretare la decisione di ieri come l’avvio di una nuova guerra diplomatica, combattuta a colpi di barile, è probabilmente un’esagerazione. Ma di certo era da molto tempo che l’Opec non soffriva di divisioni così profonde. Inoltre, non è l’unico segnale di insofferenza manifestato negli ultimi mesi dall’Arabia Saudita, che sta scegliendo sempre più altre sedi per definire – in accordo con i consumatori, più che con i colleghi del Cartello – le sue politiche produttive. L’International Energy Forum è la principale e secondo fonti del Sole 24 Ore Riad starebbe spingendo, contro la volontà di altri membri Opec ma d’accordo con gli Usa, per l’adozione di un nuovo Trattato dell’energia che accresca la responsabilità dei produttori di greggio nel soddisfare la domanda.

Lo stesso ministro del Petrolio, Ali al Naimi, aveva anticipato la volontà di agire a prescindere dall’Opec per soddisfare il fabbisogno di petrolio sul mercato, lasciandosi andare ad una lunga e amara serie di considerazioni mercoledì sera a Vienna, dopo quello che lui stesso ha definito «uno dei peggiori vertici» nella cinquantennale storia dell’Opec. «L’Arabia Saudita e gli altri tre Paesi del Golfo Persico membri dell’Opec (Kuwait, Emirati arabi uniti e Qatar, Ndr) hanno la capacità e la volontà di fornire al mercato tutto il petrolio di cui ha bisogno», aveva assicurato al Naimi. «Sappiamo che nel terzo e nel quarto trimestre ci sarà bisogno di più greggio».

Il bollettino mensile dell’Opec, pubblicato ieri, mette nero su bianco le preoccupazioni di Riad: «Il mercato sta entrando in un periodo di alti consumi stagionali. Il risultato sarà una richiesta di greggio dall’Opec molto più elevata dell’attuale produzione». In maggio quest’ultima è stata di 28,97 milioni di barili al giorno: 1,94 milioni in meno rispetto ai 30,91 mbg che l’ufficio studi della stessa Opec si aspetta per il terzo trimestre, pur ammettendo – forse per non scontentare troppo i "falchi" dell’Organizzazione – che i rischi per la crescita mondiale, e dunque per la domanda di greggio, si sono fatti «più pronunciati».

A Vienna i membri dell’Opec avevano già in mano queste stime, ovviamente. Ma Riad e i suoi alleati non sono riusciti a strappare il sigillo dell’ufficialità alla proposta di un aumento di 1,5 mbg, non delle quote bensì della produzione corrente, proprio come aveva invocato più volte l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie). Il capoeconomista dell’Aie, Fatih Birol, aveva conservato fino all’ultimo la speranza in un «atto di responsabilità» dell’Opec (si veda Il Sole 24 Ore del 9 giugno). Ma ben sei Paesi non hanno voluto sentire ragioni, ha spiegato al Naimi, rompendo – altro segnale forte di scollamento dall’Opec – la tradizionale riservatezza: si tratta di Iran, Venezuela, Algeria, Angola, Ecuador e Libia (Nigeria e Iraq si sono astenuti).