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 2011  giugno 10 Venerdì calendario

Falcone Angelo

• 1980 (~) Dal 2007 al 2010 fu recluso in una prigione indiana (condanna a dieci anni per narcotraffico ribaltata in appello) • «[...] era stato arrestato il 9 marzo 2007 a Mandi, nello stato indiano nord orientale dell’Himachal Pradesh, dove si trovava in vacanza con un amico. Prelevati nella guest house dove dormivano e portati in caserma, interrogati per un giorno e costretti a firmare un documento in hindi, senza traduzione, che li inchioda. L’accusa è di traffico internazionale di droga. Vengono portati in galera e sbattuti tra pidocchi, perdono 15 chili e si prendono l’epatite. Nel frattempo, in Italia, la famiglia disperata comincia la sua battaglia. Ingaggia costosi avvocati indiani, contatta parlamentari e governo, apre un blog e si riduce perfino allo sciopero della fame per sollecitare le istituzioni a occuparsi di Angelo e degli altri tremila italiani detenuti in giro per il mondo. Il momento più angoscioso [...] quando le autorità indiane impediscono per undici mesi ai genitori di parlare per telefono con il figlio detenuto. Nel frattempo il tribunale lo ha condannato a dieci anni. A dicembre 2009, la corte d’appello lo assolve da tutte le accuse, poi il definitivo proscioglimento da parte dell’Alta Corte. Infine, un mese di attesa per il lasciapassare dell’ufficio immigrazione necessario a salire sull’aereo per l’Italia. Infine [...] sul blog del padre Giovanni compare il messaggio più atteso: “È finita. Oggi il giudice ha firmato l’ordinanza di restituzione del passaporto, tra qualche giorno Angelo farà rientro a casa. Voglio ringraziare tutti” [...]» (Giuseppe Salvaggiulo, “La Stampa” 17/5/2010) • «[...] Quando arrivò in India nel marzo del 2007 per una vacanza di qualche giorno con un amico, Angelo Falcone non poteva sapere che avrebbe trascorso i due anni e nove mesi successivi rinchiuso nelle carceri dell’Himachal Pradesh per traffico internazionale di droga. Ma a 26 anni la vita può riservarti anche questo [...] il giovane parte per l’India con l’amico con Simone, proprietario di un ristorante a Bobbio (Piacenza), dove Angelo lavora come aiuto cuoco. I due arrivano a Mandi, del nord. Un giorno, mentre pranzano in una taverna, fanno amicizia con due ragazzi del posto, che si offrono di ospitarli per la notte. “Erano le 21 e 45, stavamo per andare a dormire”, ricorda Falcone. “All’improvviso la polizia ha fatto irruzione in casa. Ci hanno chiesto i documenti, poi ci hanno portati via. Una volta alla stazione di polizia ci hanno messo davanti un verbale. Volevano che lo firmassimo a tutti i costi”. Sul verbale c’è scritto che nella casa sono stati trovati 18 chili di hashish destinati al traffico internazionale. Ma Angelo non lo sa, perché il documento è scritto in Hindi e nessuno glielo traduce. I suoi amici indiani vengono picchiati duramente, mentre lui e Simone rimediano qualche cazzotto sulla schiena. Angelo firma senza pensarci troppo. “In quella casa non c’era hashish - dice il giovane -. Sono stati i poliziotti a portarlo lì per incastrarci. Lo fanno spesso con gli stranieri, per soldi o per ottenere una promozione. Dopo quattro giorni, un agente è venuto da me e mi ha detto che se gli avessi dato l’equivalente di 20 mila euro mi avrebbe lasciato andare, altrimenti avrei passato i successivi dieci anni della mia vita in un carcere indiano. Lì ho capito di essere veramente nei guai”. Angelo e Simone finiscono in una camerata con altri quaranta detenuti. Entrambi contraggono l’epatite e finiscono in ospedale. Angelo perde dieci chili. Quattro mesi dopo l’arresto, un funzionario dell’ambasciata italiana in visita al carcere di Mandi gli conferma che, con quello scarabocchio sul verbale nella stazione di polizia, Angelo ha firmato la propria condanna. E quest’ultima arriva, puntuale, nell’agosto del 2008: dieci anni di carcere, in un Paese lontano che non ha accordi di estradizione con l’Italia. A poco servono gli sforzi del padre Giovanni, che dall’Italia lancia una campagna per la liberazione del figlio attraverso un blog. I due giovani vengono trasferiti nel carcere statale di Nahan per scontare il resto della condanna in attesa dell’appello, tra ladri comuni, serial killer ed ergastolani. Tra loro ci sono alcuni stranieri e cinque italiani. Tutti dentro per lo stesso motivo: droga. “I problemi - ricorda Angelo - cominciavano con l’arrivo dei monsoni, quando l’umidità diventava insopportabile e la prigione si riempiva di ragni, scorpioni, topi e serpenti”. L’incubo finisce il 3 dicembre 2009, quando l’Alta Corte di Shimla li assolve dall’accusa. Sono liberi. Ma potranno tornare in Italia solo dopo 90 giorni, ovvero il tempo riservato all’accusa per decidere se appellarsi alla Corte Suprema. [...]» (Pablo Trincia, “La Stampa” 28/12/2009).