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 2011  giugno 10 Venerdì calendario

LA «PRIMAVERA» CHE SCUOTE ANKARA

Zero problemi con i vicini: è lo slogan più conosciuto coniato dal ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, uno degli uomini di primo piano del governo Erdogan, strafavorito alle elezioni di domenica. Ma i problemi con i vicini ci sono eccome, perché alla porta Sud della Turchia sta bussando una sanguinosa primavera araba con migliaia di profughi in fuga dal regime di Bashar Assad che portano video e racconti di massacri contro i civili, diserzioni di soldati, stragi delle truppe speciali.

La geografia è un destino che non si può cambiare, come sottolinea lo stesso Davutoglu: se la Turchia a Istanbul è Europa, lontano dal Bosforo si misura un’altra dimensione di questo Paese, sospeso tra Medio Oriente e Asia, con lunghi confini con l’Iran dei pasdaran, la Siria dell’alauita Assad e la cronica instabilità dell’Iraq. La Turchia, si sottolinea giustamente, è il terminale delle pipeline di gas e petrolio ma pure un crocevia della polveriera mediorientale.

Damasco era per Erdogan una delle scommesse più importanti. Il premier si è speso molto per instaurare buoni rapporti con Bashar. E la Turchia ha dispiegato tutto il suo "soft power" per influenzare positivamente l’evoluzione interna siriana. Ha triplicato gli scambi commerciali, abbattuto le barriere doganali e aperto le frontiere: questo è un confine che ora si attraversa mostrando solo la carta d’identità. Quando è cominciata la rivolta contro il regime baathista i turchi hanno imbastito mediazioni diplomatiche, blandito Assad, gli hanno offerto altri aiuti, tentando di scongiurare una repressione sanguinosa che si è puntualmente verificata, con grande delusione di Erdogan e Davutoglu.

La Turchia è direttamente interessata a quanto avviene in Siria: «una questione di sicurezza nazionale», ha proclamato Erdogan. Ankara e Damasco erano stati a un passo dalla guerra nel ’98 quando i siriani avevano accordato protezione a Ocalan, leader del partito curdo Pkk e della guerriglia anti-turca. In Siria c’è una consistente minoranza curda, oltre due milioni, che potrebbe influenzare anche il Kurdistan turco, una delle questioni scottanti di queste elezioni, dove l’Akp di Erdogan punta a ottenere i due terzi dei seggi che gli consentirebbero di cambiare la costituzione, progetto ovviamente osteggiato sia dai militari che dai partiti laici.

La primavera araba sembrava potesse diventare un altro successo per il governo Erdogan e il suo partito, più volte citato in Egitto e in Tunisia come una sorta di modello politico, un esempio, fin troppo rassicurante per l’Occidente, di formazione musulmana moderata integrata del gioco democratico. I turchi però hanno capito che il regime di Assad non si riforma, né con il soft power di Davutoglu né con inutili risoluzioni dell’Onu, per questo hanno aperto all’opposizione e mobilitato l’esercito ai confini con Damasco, per contenere, un giorno, gli effetti di un sisma geopolitico che potrebbe avere nella regione conseguenze persino più devastanti della deriva irachena dopo la caduta di Saddam.