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 2011  giugno 10 Venerdì calendario

CELANT, CONTRO IL POP HO CREATO L’ARTE POVERA

Protagonisti e opere Arte povera, storia e storie è il titolo del volume di Germano Celant pubblicato in questi giorni da Electa (360 pagine, 70 euro). Il volume raccoglie gli scritti del critico genovese dal 1966 a oggi. Di ogni protagonista del movimento, da Pascali a Merz, da Paolini a Penone, da Boetti a Pistoletto, si ripercorre la carriera e la produzione, attraverso quasi mezzo secolo. Il volume contiene anche la ristampa di Arte Povera. Storie e protagonisti, introvabile pubblicazione voluta nel 1985 da Marcello Rumma, editore e appassionato d’arte. Da quel libro, che non ebbe quasi circolazione per la precoce morte dell’editore, riportiamo il capitolo iniziale con i ricordi del critico sulla sua adolescenza e sugli albori del movimento

A 16 anni a Genova frequentavo un certo ambiente culturale che gravitava intorno ad Ezra Pound, che viveva a Rapallo. Venivo da una famiglia piccolo borghese e questi personaggi strani mi hanno subito sedotto. Come tutti i ragazzi, credo, mi sono interessato di letteratura e di teatro, da Beckett, con il famoso Teatro dell’Arlecchino, dove c’era Paolo Poli, a Ionesco. Alla fine degli Anni 50, quando sono passato all’università ero intriso di questo humus , ma ho seguito la scelta dettata dai genitori, iscrivendomi a Ingegneria. Contemporaneamente frequentavo questi personaggi diversi, sia del mondo della musica, sia della letteratura. Ho organizzato come ufficio stampa i primi festival latino-americani e panafricani. Frequentai così Gato Barbieri e Glauber Rocha, e molti intellettuali arabi. In ingegneria non ero bravo, Togliatti, il fratello di Palmiro, mi dava votacci tremendi. Nel 1961 Eugenio Battisti venne a insegnare alla Facoltà di Lettere; teneva lezioni molto interessanti, divenni suo allievo. Mi inventai un Centro universitario arti visive, dopo essere stato in quello del cinema: invitai Argan ed Eco, Calvesi e Pasolini, Bertolucci e Straub. Le mie amicizie erano sempre più artistiche. Battisti a un certo punto decise di fondare la rivista Marcatré , mi chiese se ero disposto a lavorarci non pagato. Accettai e frequentai come direttori di sezione Portoghesi, Gelmetti, Eco, Carpitella, Sanguineti ed altri. È stata la prima rivista interdisciplinare in Italia.

Nel 1963, come giovane critico d’arte partecipo al convegno del Gruppo ’63 a Palermo e della Critica d’Arte a Verrucchio. Inizio a rendermi conto degli intrecci tra teoria e potere, scelgo di lavorare come free lance senza legarmi ad alcuna scuola o clan universitario.

Un anno dopo, nel 1964, insieme a Battisti ed Ezia Gavazza decidemmo di fondare un museo d’arte contemporanea, basato sulle donazioni degli artisti. Con Battisti ero sottoposto a un fuoco di idee: è sempre stato una mitragliatrice. Per Marcatré ho iniziato a curare la cronaca d’arte e facevo il giro in tutte le città italiane, così sono arrivato a conoscere direttamente i galleristi e gli artisti più importanti. In prima persona nei loro spazi e studi, come Schwarz e Fontana, De Martiis e Kounellis. A Torino ho incontrato Gian Enzo Sperone, Paolini e Pistoletto, Carla Lonzi e Pistoi, ed è stato un momento di energia che si è ripercosso su tutti gli anni a venire. Nel 1965 Mendini mi chiama a Milano per la rubrica d’arte di Casabella, su cui seguendo i miei interessi scrivo di architettura e arte, cinema e design, continuando quella «confusione» delle lingue che mi ha sempre attratto. Nel ’67 pubblico un libro con Comunità: una monografia su Marcello Nizzoli, il primo designer italiano: un libro molto immaturo, se si vuole, però una sana ricerca su un designer di grande rilievo. Tutto questo mi ha immesso in una circolazione di amicizie e di rapporti - per esempio con Apollonio e con Dorfles - internazionali. (...)

Venivo da una situazione abbastanza interdisciplinare, quella dei rapporti tra arte e ambiente, del radical design e del teatro di strada. Nel 1963 a Genova avevo frequentato il Living Theatre, poi le discussioni politiche e culturali con filmmakers e artisti, l’impatto di Eco con la sua valigia piena di fumetti in un’aula universitaria. Nel 1965, influenzato positivamente da Apollonio, mi interessai di arte programmata e dei suoi aspetti utopici, le letture di Norman Brown e l’arrivo dell’erba; una situazione molto intensa che a Torino trova i corrispettivi negli artisti. In questa città potei vedere Kline e gli espressionisti astratti, le opere pop da Sperone, i Bacon da Tazzoli e quadri incredibili di Licini, Balla e Pollock da Pistoi. Carla Lonzi era un polo energetico ineguagliabile, la sua presenza ha mutato la storia, non solo dell’arte, italiana. Dal 1963 passo sempre più tempo con Paolini, Mondino, Pistoletto, Sperone, Pistoi e Gilardi, vedo i lavori di Rauschenberg e Warhol, Lichtenstein e Dine, Schifano e Kounellis, insomma tocco il polso alla situazione internazionale, vivendola in maniera diretta e osmotica. Nel 1964 la Biennale premia gli americani, ma per me Torino è il punto di riferimento mondiale. La pop era un movimento storico se non superato, almeno superabile. Nel 1966 mi reco nuovamente a Palermo per «Revort» e incontro Pascali che si scaglia contri i critici ufficiali per la loro insensibilità alle nuove ricerche artistiche. La sua presenza mi stimola a frequentare Roma, dove pur avendo difficoltà a comunicare con i miei colleghi, dialogo facilmente con quanti rischiano per l’arte, come Pascali e Kounellis, De Martiis e Sargentini. Sempre nel 1966 a Torino dalla Stein incontro Boetti, diventiamo amici, scrivo il testo per il suo catalogo a Genova. Le sere si passano discutendo, completamente «fatti», di arte e di visione, in una stanza in corso Vittorio con tutti gli artisti torinesi.

Subito dopo, visti gli studi di Mario e Marisa Merz, mi entusiasmo alle strutture di canniccio attraversate dal neon (oggi distrutte) e alle chiocciole di alluminio che arrivano, su mia indicazione, al Museo sperimentale di Torino. Poi, tramite Sperone e Gilardi, conosco Zorio, Penone e Anselmo. Piano piano con Prini e Calzolari il mosaico si compone. E quando si arriva a definire, insieme, una visione iconoclasta rispetto alla pittura dell’epoca e, certamente, anche di oggi, l’operazione mi sembra naturale. Nel 1967 i rapporti e le amicizie danno luogo a una mostra a Genova, presso una nuova galleria, la Bertasca, e a un saggiomanifesto pubblicato su Flash Art . (...)
"A INGEGNERIA"

"«Il fratello di Togliatti mi dava votacci tremendi, così passai a Lettere»"

"LA BIENNALE DEL 1964"

"«Premia gli americani ma per me Torino è il punto di riferimento mondiale»"