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 2011  giugno 10 Venerdì calendario

LA GESTIONE IN ROSSO DELL’ERA MORATTI

I conti del Comune di Milano, che Letizia Moratti lascia a Giuliano Pisapia, non sono paragonabili a quelli disastrosi di Roma, ma dalla capitale morale è lecito attendersi d i m e g l i o . A c o m i n c i a r e dall’attendibilità delle comunicazioni ai cittadini e al mercato finanziario. L’annuncio di un avanzo di 48 milioni di euro per il 2011, dato dal sindaco uscente in campagna elettorale, ha un fondamento assai fragile davanti alla profonda incertezza delle entrate. La cosa può sorprendere data la reputazione della Moratti come donna d’affari e come pubblica amministratrice, che già il 31 maggio era informata dai revisori sull’ «andamento assai negativo delle entrate che compromette l’equilibrio di bilancio sia di parte corrente che dei saldi utili ai fini del rispetto del patto di stabilità» . Proprio per questo, i conti di palazzo Marino, dove il centrosinistra ora governa per la prima volta nella Seconda Repubblica, meritano uno scavo. Il Comune di Milano è una grande impresa, con 15.300 dipendenti, che costano 39 mila euro pro capite, e un flusso di entrate e spese correnti di 2,5 miliardi. Nel 2010 ha ottenuto un risultato operativo positivo per 78 milioni in virtù di 120 milioni di dividendi delle partecipate. Da questo margine, per avere il risultato d’esercizio, vanno detratti 101 milioni di interessi passivi e aggiunti 90 milioni di proventi di natura straordinaria (vendite di immobili e altro). Il risultato resta così positivo per 66,8 milioni. In realtà, se togliamo i proventi straordinari e i dividendi dell’Atm ((un mero prelievo patrimoniale), il saldo della gestione ordinaria è negativo per 72,8 milioni. L’anno prima lo era stato per 67. Insomma, il mito della buona amministrazione ambrosiana ha bisogno di un po’ di manutenzione da parte di Pisapia e del suo assessore al Bilancio, Bruno Tabacci, che porta alla giunta l’antica scuola della sinistra democristiana di Albertino Marcora. Il principale problema di Milano oggi è la gestione, che ha assorbito larga parte dei proventi irripetibili della privatizzazione parziale dell’Aem. Il centrosinistra potrà rimpiangere le occasioni perdute dagli avversari: modulando gradualmente la cessione delle quote Aem sul modello Eni, anziché cedere subito il 49%, il Comune avrebbe intercettato meglio il vento della Borsa; facendo valere il suo peso decisivo nell’affare Fastweb-Metroweb con Micheli e Scaglia, avrebbe potuto ottenere ben altri guadagni. E la quota della Milano-Serravalle si vende solo ora che non fa più maggioranza quando ieri avrebbe potuto lucrare di più dalla Provincia un po’ spendacciona di Filippo Penati che inseguiva grandi sogni autostradali. Ma ora è la gestione a tener banco. La politica delle partecipazioni conserva grande rilievo. Potrà aiutare negli investimenti. Ma non risolve il problema delle partite correnti che da 12 anni hanno un saldo negativo. Nonostante la «politica della lesina» sia stata inventata nel secolo XIX dalla Destra di Quintino Sella, il centrodestra milanese dei sindaci imprenditori non è riuscito a far quadrare le spese per il personale, gli acquisti, i servizi e gli interessi sui mutui con le entrate correnti, tributarie ed extratributarie, e con i trasferimenti dallo Stato. Anche nel 2011 ci sarà un disavanzo di 135 milioni. Questa difficoltà deriva in primo luogo dalle restrizioni della finanza pubblica, in vario modo attuate da tutti i governi centrali, compresi quelli di centrosinistra, ma in secondo e non trascurabile luogo deriva da iniziative specifiche berlusconiane come l’abolizione dell’Ici sulla prima casa e morattiane come la gestione dell’Ecopass, lo scarso utilizzo delle risorse interne e la decisione di non toccare imposte, tariffe e servizi per non irritare gli elettori. Di qui, il ricorso a una certa arte di arrangiarsi. Nelle entrate ordinarie, per dire, il Comune di Milano include i dividendi dalle società partecipate. Legittimo, ma ardito, perché si tratta di voci non sempre ripetibili. La società aeroportuale Sea per due anni non li ha pagati. E ora, per il 2011, con la Lufthansa che lascia Malpensa, ne dovrebbe versare uno straordinario di 160 milioni da recuperare poi con un aumento di capitale propedeutico alla quotazione in Borsa. Nella sostanza si tratta di un vero e proprio prelievo patrimoniale, non diverso da quelli eseguiti sull’Atm, che guadagna poco com’è normale nel trasporto pubblico locale, ma ha in pancia qualche centinaio di milioni, frutto di una vecchia legge. È giusto toglierglieli? Sì, perché Atm non ha grandi investimenti da fare. Ma poi il Comune li dovrebbe usare per costruire la linea 4 e la linea 5 della metropolitana, non per le spese correnti come ha fatto (115 milioni negli ultimi due anni) e farà (altri 50 milioni nel 2011). E vogliamo parlare di A2A, che ha il bilancio gravato dalla partecipazione Edison acquisita fuori da ogni logica industriale, ma che deve ugualmente pompare al Comune azionista altri 83 milioni nonostante il suo pesante debito? Eppure, nonostante il soccorso dei dividendi, le partite correnti chiudono in rosso. Negli anni scorsi il Comune ha compensato con parte dei permessi a costruire. Nel 2011, il preventivo morattiano prevede un aumento di questa posta da 145 a 170 milioni. Virtuosamente, li destinerebbe alla copertura degli investimenti; sfortunatamente i revisori prevedono che mancheranno all’appello 70-80 milioni. Quanto basta per cambiare di segno agli annunci trionfalistici ante ballottaggio. In compenso il saldo negativo delle partite correnti dovrebbe essere coperto con la cessione di quote del Fondo immobiliare (45 milioni) e con parte delle plusvalenze sulla cessione del 18%della concessionaria autostradale Milano-Serravalle (90 dei 170 milioni messi a budget in base alla valutazione Dexia-Crediop). Stimare un risultato della gestione ordinaria 2011 come abbiamo fatto per il 2010 sarebbe ozioso, tanto sono incerte anche altre poste rilevanti come i 360 milioni di incassi dai fondi immobiliari. Palazzo Marino chiude il bilancio di cassa con 700 milioni e 2,3 miliardi di residui attivi contro circa 3 miliardi di residui passivi. Ma mentre questi rappresentano impegni verso terzi, ai quali è difficile sfuggire, i residui attivi (affitti morosi, tasse della nettezza urbana e multe non pagate e così via) sono tutti esigibili? Il Comune ha impegnato risorse di debito per 4,2 miliardi, ma non tutte le opere pubbliche stanno rispettando l’originaria tabella di marcia e questo ha consentito di non tirare per intero l’affidamento. Se lo facesse, gli oneri finanziari potrebbero salire di alcune decine di milioni. E questa sarebbe un’ulteriore mina che si aggiunge alle incertezze già denunciate dal collegio dei revisori presieduto da Fabrizio Pezzani.