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 2011  giugno 09 Giovedì calendario

MILANO—

Chi è senza peccato, diceva qualcuno, scagli la prima pietra. E dunque: vietato far finta di non sapere di che si stia parlando, quando si discute di sexting. Ultima vittima, il deputato americano Anthony Weiner. La prima, chi lo sa; il neologismo — crasi di sex e texting — pare abbia fatto il suo esordio nel 2005. In mezzo, di tutto un po’, dal politico finlandese alla minidiva Disney. L’impressione è che in molti— per scherzo o per ossessione, per amore o per noia — abbiano almeno una volta nella vita avuto a che fare con «l’invio di immagini sessualmente esplicite o di testi inerenti al sesso con mezzi informatici» . Con il «Weinergate» , però, il salto di qualità — se così si può dire— è conclamato. In linea di principio, sarebbe innocuo. Un sms al partner, l’equivalente contemporaneo delle lettere appassionate in cui l’eros faceva capolino tra righe vergate con raffinatissime stilografiche. In pratica, sta portando alla rovina più di un personaggio pubblico. Perché in questi casi, il messaggio non era destinato al legittimo/a consorte, bensì a destinatari(e) virtuali, contatti di una serata passata al pc (o di un pomeriggio di noia con in mano un BlackBerry). Sexting, lies and a political scandal, «Messaggi sessuali, bugie e uno scandalo politico» , scriveva ieri il britannico Times, parafrasando il titolo del film che proiettò Soderbergh nel firmamento di Cannes. Nel 1989 era la videocamera; oggi, gli schermi dei videofonini, le bacheche virtuali di Twitter (nel caso Weiner) e Facebook. Il deputato Usa è diventato lo zimbello della blogosfera e dei media dopo aver maldestramente «twittato» una foto (non propriamente artistica) delle sue parti intime: il messaggio personale, destinato a una sconosciuta studentessa del Texas, è rimbalzato sugli schermi di tutta l’America. E dopo aver tentato, altrettanto goffamente, di metterci una pezza, la promessa democratica di Brooklyn (in molti già lo vedevano sindaco di New York) ha dovuto ammettere che, in effetti, sì, ha scambiato messaggi a sfondo sessuale e foto con sei donne. Nessuna delle quali è la legittima e furibonda moglie. Non si dimetterà, dice. Ma questo «scandalo sessuale senza sesso "vero"» , come scrive Murad Ahmed sul Times, non cadrà facilmente nel dimenticatoio. Perché accada, è tutt’altra faccenda. Il sexting è diffusissimo tra gli adolescenti: nel 2009, in Gran Bretagna, uno su 4 nella fascia 11-18 anni aveva ricevuto un «sext» , e l’Huffington Post definiva il sexting come «teenager che si inviano autoscatti sessualmente espliciti via cellulare» . Oggi la definizione andrebbe aggiornata, affiancando ai teenager «uomini e donne maturi e spesso in posizioni di potere, messe a rischio per una bravata in Rete» . A febbraio era toccato (par condicio virtuale) a Chris Lee, deputato repubblicano, dimessosi — lui sì — dopo che una sua foto a torso nudo, in risposta a un annuncio per «cuori solitari» (ma Lee ha moglie e figlio) di Craiglist, era stata intercettata dal sito di gossip Gawker. Nel 2008, al sindaco di Detroit Kilpatrick e al ministro degli Esteri finlandese Kanerva. Cosa spinga questi adulti tecnologizzati a mandare all’aria una vita intera per un micro-brivido virtuale, resta un mistero. «Nella teoria freudiana si direbbe "slatentizzare"— sintetizza la psicoterapeuta Gianna Schelotto —. Esibizionismo e voyeurismo fanno parte del percorso che ci conduce alla maturità sessuale; certi atteggiamenti, che nei ragazzini potrebbero essere considerati una tappa evolutiva, se riemergono negli adulti sanno di regressione. Inoltre, le nuove tecnologie propongono uno scenario di "liberi tutti"che innesca lo stesso meccanismo della pornografia: in un mondo in cui è possibile raggiungere centinaia di migliaia di sguardi, perché l’atto sia eccitante devo fare qualcosa di più forte» . Nessun problema, se si è tra adulti consenzienti. Ma prima, magari, servirebbe un corso accelerato di furbizia in Rete. Gabriela Jacomella