Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 09 Giovedì calendario

MA LUCIO È PROPRIETÀ PRIVATA

Fabrizio De André evaporò in una nuvola rossa, in una delle molte feritoie (alcoliche) della notte. Per poi tornare, addirittura immortale. Non così Lucio Battisti. Una vita intera spesa a far perdere le proprie tracce. Bob Dylan si autoflagella da una vita, storpiando deliberatamente i suoi classici. Battisti, popolare per antonomasia, scelse una via ancora più estrema: l’ostentazione del colto, del criptico, della sperimentazione. I testi di Pasquale Panella, le copertine minimali, i Don Giovanni e gli Hegel che erano maschere di un artista geniale quasi suo malgrado. La decisione del Tribunale di Milano, che ha vietato al comune di Molteno (dove Battisti viveva ed è sepolto) di ricordarlo attraverso nuove edizioni della manifestazione “Un’avventura, le edizioni”, è per certi versi in linea col desiderio più irrealizzabile di Lucio: essere dimenticato. Esulta Grazia Letizia Veronese, in arte (quale?) “Velezia”, ex segretaria nel Clan di Celentano. Compagna di Battisti dal ’69, moglie dal ’76, un figlio (Luca) nel ’73. Secondo i fans, la Yoko Ono nostrana. Fu lei a portare il marito alla rottura con Mogol? Fu lei a spingerlo all’eremitaggio? Fu lei a esacerbare la leggendaria tirchieria del consorte? Non si sa. Di sicuro fu lei a firmare i testi del disco più brutto di Battisti, E già. Altrettanto sicuramente, è lei la prima ad opporsi ferocemente a qualsiasi “sfruttamento”: special tivù, dvd, raccolte, rassegne, libri. Niente di niente. Battisti, secondo Velezia, è suo e solo suo. “Nessuno può usare il nome e l’immagine senza il consenso dei familiari”, gongolano i legali. Da qui la domanda: un artista è degli eredi o di tutti? Domanda particolarmente attuale nella musica leggera e derivati, visto che i mostri sacri sono in gran parte scomparsi. Ognuno conserva la memoria come può. La Fondazione De André è attivissima e il rischio è quello di trasformare Faber in un santino. La Fondazione Gaber cerca di ricordare il Signor G in quanto tale, senza appropriazioni indebite di destra e sinistra. Rino Gaetano è morto in solitudine, salvo poi venire rivalutato vent’anni dopo, purtroppo per lui (anche) con fiction raggelanti e cover terrificanti: se la sorella Anna avesse emulato Velezia con i Dj Molella e le Giusy Ferreri, male non sarebbe stato. Nei casi peggiori, il silenzio non è dettato da scelte o sentenze, ma dalla dimenticanza colpevole: Ivan Graziani, Pierangelo Bertoli. E tanti, troppi altri. Se pare encomiabile opporsi alle cristallizzazioni indebite o storicamente falsate, è altrettanto innegabile che un artista, specie se baciato (o ucciso) dall’apprezzamento trasversale, divenga patrimonio comune. Trasversalmente condiviso. L’uomo, in quei casi, slitta da persona a icona. Era ciò che detestava Battisti, è ciò (si spera) che prova a combattere Velezia. La quale, però, non solo non dà prova di conoscere la differenza tra commemorazione greve e ricordo garbato, ma sembra compiacersi fastidiosamente della proprietà battistiana. Come se le emozioni, i campi di grano e i nastri rosa fossero cosa sua. Continuando così, finirà con l’andare in giro d’estate col forcone, per punire chi osa cantare il marito in spiaggia. Sarebbe opera paradossale e più che altro inutile: il cantante evapora, l’epifania no.