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 2011  giugno 09 Giovedì calendario

IL MERCATO TEME LO SCENARIO LEHMAN BROTHERS

Gli operatori il timore ce l’hanno dipinto in volto: se la Grecia ristrutturasse il debito, potrebbe diventare la «Lehman Brothers» d’Europa. Dato che l’allungamento delle scadenze dei titoli di Stato equivarrebbe a un vero e proprio default, a quel punto diventerebbe elevato il rischio che anche Portogallo e Irlanda facciano la stessa fine. Perché Atene diventerebbe un precedente: aprirebbe una breccia, romperebbe un tabù. E, come è successo nel 2008 dopo il crack di Lehman, le reazioni a catena potrebbero a quel punto diventare imprevedibili. Per questo ieri è bastata una lettera in cui il ministro tedesco delle finanze, Wolfgang Shaeuble, rilancia l’idea di ristrutturare il debito ellenico, che i titoli di stato greci a due anni hanno spinto i rendimenti al 24%, i decennali irlandesi al 10,8% e i portoghesi al 10,11%. E l’euro è sceso a 1,4570 sul dollaro dal precedente 1,4680. Segno che questa ipotesi, al mercato, fa paura.

Se si analizzano bene le possibili conseguenze, non è difficile capire perché. L’ipotesi che circola è che gli investitori siano obbligati a scambiare i titoli di stato attuali con nuovi bond che hanno durate più lunghe di sette anni. È ovvio che un’opzione del genere sarebbe equiparata a un default: le agenzie di rating, ma non solo loro, lo dicono chiaramente da giorni. Il problema è che sul mercato tanti sono convinti che questo non risolverebbe i problemi di Atene: con un debito pubblico al 153% del Pil, un deficit oltre il 10% del Pil e con una recessione del 3,8% quest’anno, una ristrutturazione «soft» rischia di non servire a molto. Per contro, invece, potrebbe avere pesanti effetti collaterali sui mercati.

Il primo riguarderebbe i credit default swap (Cds). Si tratta di polizze che servono proprio per assicurare gli investitori dall’insolvenza di un emittente di bond, come la Grecia. Ebbene: nel momento in cui fosse dichiarato il default, dovrebbero partire i rimborsi. E non si tratta di bruscolini: sulla Grecia esistono – secondo la Dtcc – 4.493 contratti di Cds che hanno un valore lordo di 78 miliardi e uno netto di 5 miliardi. Questo primo effetto negativo si sommerebbe al secondo: le banche di tutta Europa sono piene di titoli di Stato greci. Ne hanno in "pancia" circa 161 miliardi. Il rischio è che, in alcuni casi, servano delle ricapitalizzazioni. Ma il vero problema sta nelle banche greche: hanno in portafoglio 44,5 miliardi di euro di titoli di Stato del proprio paese, pari a circa il 10% di tutti i loro attivi. Per loro la botta, dunque, sarebbe dura. Molto dura.

Anche perché l’impatto non finirebbe qui. Il default, seppure «soft», qualche problema lo creerebbe anche alla Bce: secondo uno studio di OpenEurope, ha in portafoglio 60 miliardi di euro di titoli greci e ha prestato 97 miliardi di euro alle banche elleniche. Per la Bce la perdita, quindi, potrebbe essere elevata: qualcuno stima 20 miliardi, qualcuno fino a 60. E questo richiederebbe una sua ricapitalizzazione. Per di più, dopo il default, la Bce non accetterebbe più titoli di Stato greci come collaterale per erogare i finanziamenti alle banche. E siccome gli istituti greci alla Bce consegnano soprattutto titoli locali per farsi finanziare, per loro si prosciugherebbe anche questa fonte di liquidità. Cioè l’unica.

Morale della favola: le banche greche dovrebbero essere salvate (da chi?), alcune banche europee e la stessa Bce potrebbero necessitare di nuovo capitale. Gira gira, il conto lo pagherebbero sempre loro: i contribuenti europei. E se gli effetti si estendessero su Portogallo e Irlanda, il conto salirebbe. Anche Lisbona e Dublino a due anni dagli aiuti ricevuti dovranno tornare a finanziarsi sui mercati, come avrebbe dovuto fare la Grecia: ma dopo il "precedente" di Atene, per loro sarà più difficile farlo. Ricordate, dopo il crack di Lehman, quando le banche non si fidavano l’una dell’altra e non si prestavano più soldi? Quel film, sul mercato, non lo vuole rivedere più nessuno.