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 2011  giugno 09 Giovedì calendario

Caffè, strette di mano e appalti. La mafia nei tinelli di casa - Sgomento e sollievo si impastano davanti alle oltre 2500 pagine che raccontano i perché degli arresti di oltre 150 persone dai nomi per lo più sconosciuti e un unico cognome: ‘ndrangheta

Caffè, strette di mano e appalti. La mafia nei tinelli di casa - Sgomento e sollievo si impastano davanti alle oltre 2500 pagine che raccontano i perché degli arresti di oltre 150 persone dai nomi per lo più sconosciuti e un unico cognome: ‘ndrangheta. Dopo Lombardia e Liguria, il Piemonte: si estende il Nord che con cecità ostinata rifiutava di sentirsi contaminato ed era corroso. E se il sollievo viene da cinque anni di indagini finiti in una cascata di ordini di cattura, lo sgomento è nella quotidiana, tanto banale quanto devastante, prossimità del crimine: piccoli e medi centri della provincia, appalti sparsi, consuetudine con spezzoni della politica. L’indagine di ieri si è portata via la piovra della porta, del balconcino, del giardinetto accanto, la più impalpabile e divoratrice. Il procuratore della Repubblica, Giancarlo Caselli, ha ricordato ieri la ‘ndrangheta che a Torino nel giugno di ventotto anni fa uccise il suo collega Bruno Caccia. Era il crimine organizzato che sparava alla città, ai nemici, alle istituzioni. Voleva apparire. Quello di ora, negato con disprezzo da tanti, in testa il presidente della Regione Lombardia Formigoni, è l’infiltrazione lieve, misurata, avvolgente. Non a caso la ‘ndrangheta è la «mafia liquida». Nell’aprile 1995 fece scalpore lo scioglimento del consiglio comunale di Bardonecchia, ritenuto in paralisi o, peggio ancora, condizionato dalla pressione criminale calabrese: edilizia, estorsioni, usura, appalti. E appalti, collusione politica, è il liquido che si è sparso nel Nord altezzoso verso il Sud vessato. Nel 2010 i boss della ‘ndrangheta tenevano una riunione di alto livello nel Circolo intitolato a Falcone e Borsellino a Paderno Dugnano. Partì la richiesta dei carabinieri di sciogliere il consiglio comunale, clamorosa al Nord, unica dopo il precedente di Bardonecchia. Nemmeno un anno dopo, marzo 2011, il ministro Maroni ha firmato lo stesso provvedimento - parere negativo del prefetto - per Bordighera, dopo una relazione dettagliata dell’Arma: i malavitosi affrontavano in strada i consiglieri comunali e chiedevano ragione dei no ai loro affari, come la licenza per una sala giochi. Queste 2500 pagine non raccontano scene da film, personaggi di carisma e ferocia particolarmente spettacolari. Raccontano la quotidianità di come la ‘ndrangheta occupi la società a passetti, negozio per negozio, ditta per ditta, appalto per appalto, consigliere comunale per consigliere comunale. Non c’è posto in uno scranno importante? «Quello lo sistemiamo alla Pro loco». Anche lì, anche nella manifestazione di paese, c’è bisogno di piazzare «uno dei nostri». Le spiegazioni di pentiti come Rocco Marando sono impressionanti perché sono fatte di spietatezza («si cerca di convincere una ditta ad andare altrove, poi si va avanti, fino a uccidere») e le intercettazioni lo sono altrettanto per la banalità dell’occupazione quotidiana («votatelo, mi raccomando, ci porta al bene», si raccomanda per un sindaco che alle Europee sarà trombato nonostante gli amici), per la tranquillità con cui Nevio Coral, imprenditore, si occupa di sostentamento agli uomini della Società arrestati. Una Società che guarda a Lombardia e Liguria per verificare la propria forza e volere una «camera di controllo», quella che dirime le questioni tra famiglie. Ci sono tutte le strutture della ‘ndrangheta: locale, ‘ndrina, società maggiore, società minore, anche la «bastarda», funzione che, come dice il nome, non è consuetudine. Ci sono ruoli e rituali per arrivarci: picciotto, santista, vangelo, trequartino, quartino, fino a padrino. C’è la gerarchia verticale, c’è il legame obbediente con la testa che è in Calabria. Ma tutto questo non sta in un mondo parallelo: sta nella quotidianità di paese, nel cappuccino della mattina accanto a quello che si è fatto il mutuo per i macchinari e mai vedrà un appalto. Uno scavo di provincia come una ricostruzione post-terremoto, un paio di trasporti come un Expo. Lo sgomento di questa indagine sta nell’occupazione sistematica della ‘ndrangheta fin nel tinello di casa, nel cucinino, nella cameretta dei bambini. L’operazione dalla Lombardia alla Calabria passando per la Liguria nel luglio dell’anno scorso (Ilda Boccassini a Milano, Giuseppe Pignatone a Reggio) raccontò molto sul legame indispensabile alla criminalità organizzata con la politica: qui si evince come non sia un discorso di alti livelli, si giocano partite lì, dietro il tricolore sulla piazza del paesino. E la ‘ndrangheta non deve più di tanto rincorrere chi ne è esterno: il guasto psicologico ha attecchito e sempre più, per ambizioni alte o misere, dall’esterno le si va incontro, ci si offre. Il comandante provinciale dei Carabinieri, Antonio De Vita, ha detto ieri, con commozione: «Lavoro di uomini straordinari con mezzi ordinari». Si può fare, e l’indagine l’ha confermato: mille uomini con una piccola lente e una pinzetta a cercare il crimine organizzato là dove non faceva sensazione. Questi documenti hanno un peso giudiziario immenso e un altro, altrettanto forte, di racconto sociologico: la fotografia attesa eppure sorprendente di gatti grigi in una notte di nebbia.