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 2011  giugno 09 Giovedì calendario

ARTE DEL «RECUPERO»: IL PURO PIACERE DI FARCI SOGNARE

Sembra che il design abbia trovato una nuova primavera. Da poco si è parlato dell’apertura di una mostra a Roma intorno al ’compasso d’oro’ ed ecco che esce da Electa, per la IV edizione del Triennale Design Museum, il ricco volume Le fabbriche dei sogni. Uomini, idee, imprese e paradossi delle fabbriche del design italiano, curato da Alberto Alessi attorniato da uno stuolo di esperti. E sfogliando le pagine di questo volume si legge una citazione di Frank Gehry: «Quando gli artisti e gli scultori che conosco sono all’opera, son guidati da un’idea di gioco priva di vincoli. Li vedo che provano, che sperimentano. Possono apparire ingenui, infantili, come dei bambini in un box dell’asilo. Anche gli scienziati lavorano così…». Popolano le pagine (e la mostra) aperta fino al 26 febbraio dell’anno prossimo, sedie ed elettrodomestici, altri mobili e lampade, alcuni utensili da cucina e un’automobile. Alla conclusione del volume si può anche trovare la «formula del successo» definita come la somma di funzionalità, sensorialità, memoria, immaginazione, comunicazione e prezzo e le pagine (gialle di colore) in appendice descrivono le imprese che hanno reso grande questo settore di punta del nostro Paese. Ma, ripensando a quanto detto sopra da Gehry, viene un po’ la nostalgia nei confronti di quelli «che provano, che sperimentano, che possono apparire ingenui…». E allora è il caso di ricordare che a Bardonecchia, a poche centinaia di metri dal Tunnel che centocinquant’anni fa (o poco meno) Germano Sommeiller rese possibile con la sua perforatrice, c’è un artista solitario che lavora a contatto con la natura in simbiosi con i prodotti (spesso di scarto) di un’industria che un tempo era artigianato e che oggi lavora il bronzo e l’acciaio. Mario Rigoni Stern scrisse «No, non mi piace il neologismo ’rottamare’, sono piuttosto per recuperare, e lo sanno i miei di casa e gli amici più vicini perché nella baracca accanto all’orto trovano posto gli oggetti e gli attrezzi che ormai siamo in pochi a usare: scuri, roncole, seghe, falci, rastrelli, tridenti, badili, picconi, zappe, vanghe, gabbie, trappole, funi, spaghi, fildiferro, slitte, vecchi sci, bastini, arnie dismesse e chissà cosa d’altro ancora… credo ignori il ’virtuale’ come lo ignoro io. Lavora, pensa, cammina, ascolta musica; va per case abbandonate a recuperare vecchi arnesi di lavoro o anche oggetti casalinghi e con questi e con la sua fantasia, la sua pazienza, il suo amore per la vita trascorsa e futura crea opere d’arte che suscitano stupore e ammirazione a chi sa guardare con occhio puro e animo sgombro da confusione: sono uccelli che non volano, automobili che non corrono…». Ora che i suoi ’bardogalli’, una variante fantastica degli urogalli di Bardonecchia, stanno per estinguersi per mancanza di materia prima, Eugenio Bolley (questo è il nome dell’artista) ha trovato in rubinetti cromati e in pompe di bronzo, in profilati smaltati e in dischi di ghisa, gli elementi di una innovativa tassonomia compositiva. Ne sono nate fantastiche automobili, elicotteri con pale a cucchiaini, perforatrici che vogliono trasmettere l’amore di una unione fraterna. Si è chiusa in questi giorni negli spazi del Politecnico di Torino la mostra Le macchine fantastiche di Bolley, ma non bisogna disperare perché l’entusiasmo di questo solitario profeta di una tecnologia fantastica, che ignora il virtuale e non usa il cellulare, presto avrà un’altra occasione di mostrarsi. Alcuni nomi delle sue creature richiamano i Bugatti, ma sarebbe un errore trovare eruditi confronti: continuando così si dimenticherebbe la magia, il sortilegio che a Bardonecchia, con la complicità di rubinetti e manovelle, con ruote raggiate e fusioni in cera persa, ha fatto rivivere come novella fenice la voiture bleu.
Affusolata e tagliente evoca mondi arcani, ma si intriga nel mondo dei sogni rimanendo un giocattolo. Chi la volesse ridurre a semplice oggetto d’arte farebbe torto al suo autore, perché in essa continua a vivere un esprit de finesse, che unisce la gioia del vivere al piacere di farci sognare.