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 2011  giugno 09 Giovedì calendario

CHI HA PAURA DELLA CHIMICA?

Mancava appena un mese alla chiusura delle iscrizioni all’università, e il diciottenne Ferruccio Trifirò, futuro professore di Chimica all’Università di Bologna, ancora non aveva deciso a quale corso di laurea iscriversi. Un giorno, sfogliando un quotidiano, legge che un chimico italiano, Giulio Natta, professore al Politecnico di Milano, ha scoperto il polipropilene. L’invenzione, spiega il giornale, spalanca le porte alla marcia delle plastiche. E può avere innumerevoli applicazioni. Una, in particolare, catalizza l’attenzione di Trifirò: le fibre sintetiche. Per vestirci non sarà più necessario tosare milioni di pecore e capre, la moderna chimica nasce amica degli animali, pensa il giovane e subito si entusiasma. In due giorni s’iscrive al corso di Ingegneria chimica tenuto da Natta. E con lui, che sta per avere il Nobel, farà la tesi.

Professore, oggi tutti si aspettano che la chimica, rinnovata, sappia prevedere ed eliminare sul nascere le emissioni tossiche. È ancora una speranza?
«Per ridurre le emissioni inquinanti (gassose, liquide e solide) sono possibili vari interventi. L’essenziale è ’trattare’ tutte queste emissioni prima di spedirle nell’ambiente. Vengono convogliate verso impianti ad hoc, costruiti per renderle innocue. È quanto è stato fatto negli ultimi venti­trent’anni. Ma i processi chimici diventano per se stessi più sicuri se si interviene a monte, cioè se si evita del tutto l’utilizzo di sostanze tossiche. Per esempio, è stato bandito e quasi completamente eliminato il mercurio, che veniva impiegato come fluido refrigerante nei manometri per misurare la pressione e nei processi di elettrolisi per produrre cloro e soda. Fra i prodotti chimici off limit ci sono l’arsenico, il piombo tetraetile (entrava come antidetonante nelle benzine) e i solventi clorurati».

La diffusa tendenza a scegliere esclusivamente ciò che è naturale non rappresenta uno sbarramento che scoraggia chiunque voglia avvicinarsi alla chimica?
«Oggi diversi prodotti chimici utilizzano sostanze naturali come materie prime di base; per esempio l’etanolo, le sostanze oleose e i grassi. La produzione di biodiesel e di etanolo come carburanti alternativi a quelli derivati dal petrolio rappresenta una convincente prova di chimica verde. Comunque esistono altri prodotti come i detergenti, che già impiegano il cinquanta per cento di materie prime derivanti da sostanze naturali. L’acido acetico si produce da etilene che proviene dal petrolio o dal metano o dal carbone ma è possibile ottenerlo semplicemente ossidando etanolo prodotto per fermentazione da sostanze zuccherine».

L’Onu dedica l’Anno internazionale 2011 alla chimica, ma sono concretamente già visibili i progressi compiuti?
«I soli accordi internazionali che hanno avuto successo sono quelli sottoscritti nel settore chimico. Cito l’accordo per eliminare dal commercio i gas che influenzano lo strato di ozono stratosferico, l’accordo per il controllo e la distruzione delle armi chimiche, l’impegno a non utilizzare sostanze chimiche che rimangono inalterate nell’ambiente per lungo tempo. L’Anno internazionale sollecita sempre nuovi rapporti tra ricercatori; e la chimica vive di questi scambi di idee. Nel secolo scorso riuscivamo a collaborare fruttuosamente con gli scienziati dell’Est anche quando l’Europa era divisa in due dalla Cortina di ferro».

Insomma la chimica ha fatto passi avanti. Dunque i rapporti con l’opinione pubblica saranno sempre meno critici?
«È comprensibile che la chimica faccia paura. Le sostanze chimiche sono pericolose per loro proprietà intrinseche, perché non vengono usate correttamente, per la presenza di sostanze incompatibili, e per il loro stato fisico (gas, polvere fine o aerosol). Ma è proprio la cultura chimica a fornire gli strumenti per maneggiarle con sicurezza. La gente non sa che quasi ogni giorno vengono introdotte efficaci innovazioni. Ma non è facile spiegarle».

A quali altri segni di miglioramento si riferisce?
«Al non utilizzo di reagenti tossici. Nel passato, quando si produceva il nylon 6, venivano fuori enormi quantità di solfato ammonico come co-prodotto non desiderato; ora, in un nuovo processo messo a punto dall’Eni, questo co-prodotto non compare più».

La chimica è una scienza e una tecnologia ’dura’. Come può interessare i giovani di oggi che, in grande maggioranza, si sono formati su percorsi piuttosto ’soft’?
«Si dovrebbe partire dai prodotti che loro utilizzano tutti i giorni e risalire poi indietro fino alle molecole, ai sali e agli atomi. E alle apparecchiature e ai processi per produrli. Le parole chiave sono: reattori, distillazione, cristallizzazione, estrazione con solventi, centrifugazione e trattamento nei forni ad alta temperatura».

C’è una domanda che è il corollario di tutte le altre: quanto sono diminuite le emissioni chimiche nell’atmosfera?
«Le emissioni di ossidi di azoto, anidride solforosa e anidride carbonica, sostanze organiche volatili e polveri, a partire dal 1989 sono scese di almeno l’ottanta per cento, nelle diecimila industrie di cinquanta Paesi che hanno firmato l’accordo Responsible Care. Si tratta del programma volontario dell’industria chimica mondiale lanciato in Canada nel 1984, che mira a garantire la sicurezza dei lavoratori, della collettività e la protezione dell’ambiente».