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 2011  giugno 09 Giovedì calendario

OPEN, LA PUNTA DEL GREEN

Negli Anni 50 del secolo scorso c’erano in Italia poco più di mille golfisti. Giocavano a Monza, Torino, Biella, Menaggio e in un’altra decina di circoli realizzati in parte da inglesi che avevano deciso di ritirarsi al sole e in parte da italiani benestanti, che avendo contratto da qualche parte il virus del golf avevano bisogno di un campo nelle vicinanze sul quale andare a curarlo.

A quei tempi, poche altre persone capivano che senso avesse colpire ripetutamente una palla, con attrezzi in apparenza del tutto inadatti allo scopo, per farla finire in una piccola buca. I golfisti erano felicissimi di essere una specie elitaria e sopportavano senza batter ciglio le più stupide barzellette sul loro conto. Meno persone conoscevano il segreto del golf («lo sport più bello del mondo») e meglio sarebbe stato per l’élite che lo praticava: percorsi sempre liberi e a disposizione, senza nessuno dietro ad affrettare i tuoi colpi o davanti a rallentarli.

Ma il segreto non poteva durare troppo a lungo. A sessant’anni di distanza, moltissime persone ne sono venute a conoscenza: i giocatori sono ora più di 100 mila e i circoli 265. Ancora poca cosa rispetto alla Francia (390 mila giocatori) o al Regno Unito (3 milioni), ma pur sempre un grande passo avanti realizzato essenzialmente riducendo i costi d’ingresso al gioco. Grazie alla diffusione dei campi pratica, che consentono di provare a tirare i primi colpi senza doversi iscrivere a un circolo, e al tesseramento libero, che permette di accedere a tutti i club spendendo solo 75 euro all’anno, migliaia di persone negli ultimi tempi si sono avvicinate a luoghi che continuavano a credere esclusivi e inaccessibili.

In fondo, se in Gran Bretagna ci sono tre milioni di golfisti è anche perché nella maggior parte dei campi scozzesi non c’è una vera e propria club house, ma solo una baracca dove cambiarsi e prendere una bibita dal distributore automatico. Appesa al muro si trova l’«honesty box», la cassetta dove lasciare i soldi del green fee nel caso che il pensionato che funge da guardiano e segretario, come spesso capita, sia assente.

La politica di apertura della Federazione guidata da Franco Chimenti non punta certo a realizzare l’ideale estremo della Scozia, ma almeno una struttura più amichevole che attragga e sostenga i giovani. Più ragazzi giocheranno a golf e più possibilità ci saranno per l’Italia di avere campioni ben piazzati nelle classifiche mondiali. Già ora, grazie ai fratelli Edoardo e Francesco Molinari e a Matteo Manassero, all’estero non si giudica più il golf italiano con sorrisetti ironici, ma con il rispetto che questi campioni hanno saputo conquistarsi. La speranza del Royal Park I Roveri, dove si disputa l’Open d’Italia, di poter ospitare un giorno la Ryder Cup, il trofeo più prestigioso, non è più così impossibile a realizzarsi.

Nonostante gli sforzi compiuti, c’è ancora molto da fare per rendere il golf uno sport popolare in Italia. Occorrono altri eroi e altre imprese leggendarie e una nuova categoria di percorsi facilmente accessibili a tutti. La Spagna, che conta 320 mila giocatori, puntava ad arrivare a un milione aumentando il numero dei campi pubblici, luoghi dove si potesse giocare pagando solo 10-15 euro, meno che per una partita di tennis. Carlos Roca, il presidente dell’associazione dei professionisti, ritiene che su questi campi non sia necessario spendere troppi soldi per avere sempre fairway e green perfetti, com’è nei circoli più esclusivi. Il golf è nato sui links scozzesi, le strisce di terra e sabbia lungo il mare che nessuno voleva perché inadatte sia all’agricoltura che all’edilizia, dove l’erba era sempre bassa solo perché la brucavano in continuazione le pecore. E giocare era bellissimo anche allora.