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 2011  giugno 07 Martedì calendario

GOMORRA È GIA’ EDENLANDIA

(con firma in fondo) -

Alla vigilia del voto amministrativo a Napoli, Mario Martone entra nel centro sociale «Banchi Nuovi» e, come scrive su l’Espresso, trova «un luogo incantato». Incontra «persone di età diverse in allegra e partecipe condivisione». Ragazzi che ridono, coppie che ballano, un’umanità gioiosamente consapevole del momento storico. Quel giorno, al regista di Noi credevamo, Napoli non appare «né sporca, né violenta, né dilaniata da lotte intestine, ma viva, intelligente, un luogo possibile e pieno di futuro». Si dirà: e allora? Allora c’e il fatto che Martone aveva creduto di trovarsi davanti a una eccezione, a una sorta di abbaglio. Invece no, e dopo il voto, confessa: «Mi sbagliavo, con l’elezione di de Magistris è stata la maggioranza dei napoletani a rivoltarsi».
Che cosa c’è che non va in questa riflessione? Beh, semplice: di che Napoli stiamo parlando? Napoli non era Gomorra? Fuori da quel centro sociale, non c’erano il malaffare e il malgoverno, la borghesia collusa e gli artigli di Cosentino, il voto di scambio e il voto comprato?
Ora non c’è nulla di male nell’entusiasmo della vittoria e nel proposito di ricominciare daccapo dopo aver «scassato» tutto. E nulla di male c’è, naturalmente, nelle bandane arancioni e nel fuoco d’artificio delle novità che verranno. Eppure, se di colpo si passa dal catastrofismo al nuovismo, se dal peggiore dei mondi possibili si salta agili e veloci al più promettente dei paradisi in terra, si ammetterà che qualche cosa non torna. Ieri Napoli era «una matassa di colpe e complicità», oggi è «un luogo incantato». Come può essersi trasformata in così poco tempo, nelle quarantott’ore di un turno elettorale? Se ciò è avvenuto, è lecito supporre che la città non fosse poi così mal messa? O, viceversa, è possibile credere che mal riposta sia tanta improvvisa speranza?
In realtà, tra catastrofismo e nuovismo c’e un rapporto strettissimo. Di più: spesso dietro entrambi i fenomeni si muovono, inquiete, le stesse persone. L’Apocalisse implica la Genesi. Così come il millenarismo, la profezia della fine del mondo, quando il mondo non finisce il più delle volte si salva con una nuova utopia. Adolfo Scotto di Luzio lo ha scritto venerdì scorso sul Foglio: l’allestimento dello spettacolo della catastrofe, la Gomorra permanente, è diventato l’immagine dominante di Napoli. Ed è su questo deserto che si è stagliata la figura dell’eroe, cioè di Luigi de Magistris.
Il fenomeno, come ormai si è ben capito, non ha i caratteri dell’originalità. Bassolino è stato maestro di salto storico. In un certo senso, ha anticipato sia Saviano, sia de Magistris. È stato sia il narratore della catastrofe, sia l’eroe del nuovo inizio. In quel caso, Napoli pagò uno e prese due. E se Adorno teorizzava di «memorie manipolate» e di «futuri anticipati», Bassolino ha saputo tradurre il tutto a modo suo: ha ritoccato il passato di Napoli per meglio risplendere, e si è rifugiato nell’utopia per evitare i conti col presente. Dal passato, Bassolino ha cancellato ciò che di buono c’era stato, non ha recuperato neanche uno degli assessori di Valenzi, e ha drammatizzato tutto il drammatizzabile, dalla storia dei viceré a quella dei lupi famelici alle porte della città. Del futuro, ha occupato ogni interstizio: avremmo avuto la città più bella e più moderna del mondo. Il luogo incantato dell’utopia, appunto. Nel frattempo, se il presente era quello che era, e cioè traffico, camorra e disoccupazione, le colpe erano da ricercarsi altrove, ovunque e in chiunque, tranne che in Bassolino stesso: nei governi, nei partiti nazionali, negli alleati locali, in De Mita, in Pecoraro Scanio, in Mastella. Un sistema perfetto, che garantiva a chi lo aveva inventato la non-responsabilità assoluta. Così è stato fino alla vittoria di de Magistris.
Ora la giostra sembra rimettersi in moto. Un altro giro, un’altra corsa. Ora, dice Martone, Napoli «è capace di sperimentare e innovare». Gomorra è già diventata Edenlandia.

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Marco Demarco, 55 anni, napoletano. Saggista e direttore del Corriere del Mezzogiorno, inserto del Corriere della Sera fondato nel 1997 con Paolo Mieli. Ha lavorato per più di venti anni all’Unità ed è stato vicedirettore con Walter Veltroni. Nel suo ultimo libro, Terronismo, Rizzoli 2011, ha scritto: «Sono stato giornalista e comunista, ora sono soltanto un giornalista». Il suo chiodo fisso: riuscire a dimostrare che Lauro non è stato il peggior sindaco di Napoli.