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 2011  giugno 09 Giovedì calendario

Nell´Italia del 1980 la copertura dei media non era ancora invasiva e costante come adesso. Pure, il fruttarolo Cruciani e il ristoratore Trinca, protagonisti semi-involontari di uno dei più colossali scandali sportivi della storia del mondo (calciatori della Nazionale in manette, Lazio e Milan retrocesse in serie B, decine di tesserati radiati), divennero figure molto popolari

Nell´Italia del 1980 la copertura dei media non era ancora invasiva e costante come adesso. Pure, il fruttarolo Cruciani e il ristoratore Trinca, protagonisti semi-involontari di uno dei più colossali scandali sportivi della storia del mondo (calciatori della Nazionale in manette, Lazio e Milan retrocesse in serie B, decine di tesserati radiati), divennero figure molto popolari. Il loro romanesco da B-movie, i loro improbabili traffici, le ingenue vanterie riprese con ingordigia dai giornalisti («Lo conosce il whisky Glen Grant? So´ io che l´ho scoperto!») rivelavano uno spaccato di paese arruffone, amorale e al tempo stesso sprovveduto: Cruciani aveva un debito di centinaia di milioni, la passione per le scommesse clandestine lo aveva rovinato, fu lui, il fruttarolo, a denunciare la faccenda ai giudici, per disperazione e non certo per un sussulto di coscienza del tutto estraneo al pittoresco ambientino che ruotava (e ruota) attorno ai calciatori. Disonesti, ma sprovveduti. Era soprattutto questa la sensazione a proposito delle decine di persone coinvolte, dai centravanti milionari che si erano distrutti la carriera più per tenere fede alle promesse da ristorante che per arraffare qualche soldo in più, ai loro amici che mettevano le mani in pasta per poi ritrovarsele mozzate dall´impastatrice. "Sottobosco", si disse, ma era un sottobosco visibilissimo, frequentatissimo. Chiunque seguisse il calcio, all´epoca, lo conosceva. Intorno ai ritiri, nei locali del dopopartita, nei festosi incontri tra i giocatori e le nascenti tifoserie organizzate, bazzicava un entourage equivoco e cialtrone, che definire "malavitoso" è perfino eccessivo, tanto sbiadito è il profilo professionale e sociale di questi amiconi, piccoli faccendieri, procacciatori di donnine e di "affaroni" improvvisati: il terreno di coltura ideale per il giro delle scommesse, per le strizzate d´occhio, con l´illusione del denaro facile che tanto peso ebbe nel dipanarsi di quel decennio appena nato, i famosi anni Ottanta. Il reato di illecito sportivo, allora, doveva ancora prendere forma. Fu la giustizia calcistica a intervenire con il pugno di ferro, probabilmente con qualche strappo al garantismo, e qualche colpo di mannaia inferto più per finirla lì che per calibrare al meglio le singole responsabilità. Lo choc fu enorme. Altri casi di partite aggiustate si erano verificati fino dagli anni Venti, ma erano i singoli e classici episodi di vittorie comperate al solo scopo di comperare il risultato sportivo. Qui il reato era ambientale, il giro delle scommesse aveva creato un vero e proprio "secondo scopo" attorno ai campionati, una lettura sottotraccia che permetteva di decifrare decine e forse centinaia di partite come eventi anche extrasportivi, manovrati da una riffa miliardaria. Se è fisiologico che, tra migliaia di addetti, il calcio abbia le sue mele marce, l´industria delle scommesse aveva prodotto (e ancora produce, evidentemente) una degenerazione patologica. E la patologia, forse non è ancora abbastanza chiaro, è il gioco d´azzardo, del quale la disonestà sportiva è solo un indotto. Un fenomeno che risucchia miliardi di euro ogni anno, ovviamente non solo nel calcio, distrugge persone, rovina famiglie, ingrassa gli usurai e il mercato dello strozzo, induce a una dipendenza compulsiva centinaia di migliaia di insospettabili, malati di gioco. Tra la massaia che dilapida la pensione al video-poker e il bomber che scommette sulla propria sconfitta (in tutti i sensi), la differenza è nella quantità del "buco", non certo nella qualità della patologia. Solo questa dipendenza (del quale è vittima confessa il povero Beppe Signori) riesce a spiegare perché, nonostante le pene, nonostante la gogna mediatica, non solo i comprimari delle serie inferiori, ma anche calciatori di successo rimangono ancora incastrati in quella macchina infernale. Dopati: questo sono, prima di ogni altra cosa, i calciatori che si vendono nel suk dell´azzardo. Rispetto al doping nel ciclismo, pratica disgustosa ma pur sempre indirizzata al risultato, il doping del calcio produce l´ulteriore, penosa condizione di scommettere contro se stessi. È come se in un solo giocatore ce ne fossero due, quello che gioca a calcio e quello che ha in tasca la cedolina della scommessa. Condizione schizofrenica, psicologicamente pesantissima, con i piedi e il cervello costretti a un segreto conflitto di interessi e il terrore che il "tuo" pubblico se ne accorga, scopra dentro di te il giocatore nascosto, quello che gioca contro la sua maglia. Quando i gipponi dei carabinieri entrarono negli stadi, quel 23 marzo del 1980, si disse che l´innocenza del calcio era perduta, che il giocattolo era rotto. Oggi l´opinione pubblica è così avvezza agli scandali, così assuefatta all´immoralità, che un´alzata di spalle rischia di accogliere il remake di quella storica caduta di immagine. E questo è uno dei (tanti) problemi che non solo e non tanto la comunità calcio, ma la comunità Italia deve affrontare: l´idea, perniciosa, che tutto sia contaminato e corroso, niente di sano rimanga nel paesaggio sociale. Di peggio, c´è solo la tentazione di sperare che non la propria squadra, ma quella altrui sia rimasta impigliata nella rete della truffa. Un paese tifoso, in questo senso, rischia più degli altri, perché ha l´impulso di scaricare sul campanile più vicino tutto il peso del male. Un primo, importante passo per uscirne sarebbe, al contrario, capire che la dipendenza dal gioco d´azzardo, e dal denaro a qualunque costo, è una piaga che attraversa tutta la società, il Nord (in questa tornata più duramente compromesso) come il Sud, il boss camorrista a bordo campo e il trafficone padano, il calcio miliardario e quello che si arrabatta nelle serie inferiori. Scrive il più influente sociologo vivente, Zygmunt Bauman, che il meccanismo profondo che guida e condiziona la vita sociale contemporanea è la dipendenza. Lo scrisse in occasione del grande crac del 2008, costruito su debiti rivenduti per salvarsi dai debiti, così come il cocainomane diventa spacciatore per pagarsi il suo vizio. Lo scriverebbe anche a proposito di questo nuovo scandalo, giocatori che vendono il loro gioco per continuare a pagarsi il gioco.