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 2011  giugno 07 Martedì calendario

Il Sudamerica vota incas e cocaleros È il trionfo del populismo di sinistra - Un altro presidente di sinistra, con tendenze nazionaliste nel nome del passato Incas, esordisce in Ameri­ca Latina

Il Sudamerica vota incas e cocaleros È il trionfo del populismo di sinistra - Un altro presidente di sinistra, con tendenze nazionaliste nel nome del passato Incas, esordisce in Ameri­ca Latina. In Perù,l’ex tenente colon­nello Ollanta Humala, ha annuncia­to di aver vinto le elezioni contro la candidata di centro destra. E la borsa di Lima è crollata. Un nuovo adepto del defunto corti­le di casa degli Usa dove governano ex guerriglieri marxisti, convertiti ad un verbo apparentemente modera­to, populisti più o meno autoritari e mangia americani, vecchie glorie filo Castro, che oggi si alleano con l’Iran degli ayatollah. Il voto di domenica in Perù ha premiato l’ex militare Huma­la, 48 anni, con il 51,5% dei voti secon­do osservatori indipendenti. Sconfit­ta Keiko Fujimori la figlia del discus­so ex presidente peruviano. Il nuovo capo dello stato è un nazionalista di sinistra, che non disdegna il populi­smo in nome dell’antica civiltà Incas. Cinque anni fa venne sconfitto per­ché parlava troppo apertamente dei suo miti, come Hugo Chavez, il cau­dillo di sinistra in Venezuela ed il ge­nerale Juan Velasco. Quest’ultimo era un dittatore rosso, che nei primi anni settanta espropriò la terra e na­zionalizzò l’industria. Dopo la sconfitta Humala deve aver capito la lezione e adesso si pre­senta come «un cristiano» di sinistra. I suoi collaboratori lo chiamano «il comandante».Assieme al fratello An­tauro tentò un colpo di stato contro Fujimori nel 2000, per poi venir amni­stiato. Il Nobel per la letteratura Ma­rio Vargas Llosa, ha benedetto l’ele­zione «come una sconfitta del fasci­smo. In Perù la democrazia è salva». Humala con i capelli corti e la pelle ambrata ha il fascino del mondo indi­geno, che vuole riscattare. Suo padre gli ha dato un tradizionale nome In­cas e ha fondato una dottrina ultrana­zionalista basata sull’esaltazione del glorioso passato incaico. Per limitare i mal di testa a Washington il nuovo presidente ha dimenticato le parole di elogio per Chavez sostenendo che il Perù sarà più vicino al Brasile. Nel più grande paese del Sud America go­verna Dilma Roussef, l’ex guerriglie­ra dell’organizzazione marxista- leni­nista Vanguarda Armada Revolu­cionária. La novella presidente era stata soprannominata «la Giovanna d’Arco della sovversione», ma oggi ha assunto toni moderati, dopo aver fatto strada come braccio destro del suo predecessore, Lula da Silva. Il vi­zietto di aiutare i vecchi compagni, però, è rimasto. Non si è mai opposta alla decisione di Lula di evitare l’estra­dizione in Italia del terrorista rosso, Cesare Battisti, che dovrebbe venir ri­lasciato in questi giorni. La situazione più preoccupante si registra in Venezuela, Ecuador e Boli­via, dove le ambasciate americane so­no state chiuse. In Bolivia governa Evo Morales, ex capo sindacale dei cocaleros, i contadini che coltivano le piante di coca. Il presidente combi­na idee di sinistra con miti andini e nelle cerimonie ufficiali ama presen­tarsi in panni indigeni. Da fiero avver­sario dell’«imperialismo» america­n­o si è imbarcato nelle crociate ecolo­giste per il rispetto di «madre Terra». In Ecuador tentenna, ma non ca­de, Rafael Correa, ex seminarista fau­tore del «socialismo del XXI secolo». Quando il presidente Usa, George Bu­sh, venne bollato come Satana, Cor­rea dichiarò che «il paragone era ini­quo per il diavolo». Il capo fila del nuovo populismo di sinistra nell’America Latina è l’ex pa­racadutista Hugo Chavez. Golpista fallito nel 1992 si prepara a fare il pre­sidente del Venezuela a vita. Ammira­tore dei fratelli Castro ha stretto lega­mi strategici con l’Iran. Il Venezuela ha le più importanti riserve di petro­lio del continente ed il suo presidente si ispira apertamente all’eroe sud americano Simon Bolivar. Pure il Paraguay ha svoltato a sini­stra con la presidenza di Fernando Lugo, ex vescovo vicino alla teologia della liberazione. Soprannominato dai rivali il «Chavez del Paraguay» è stato indebolito da alcuni scandali le­gati a figli segreti concepiti quando era ancora un prelato. In Uruguay, in­vece, comanda Josè «Pepe» Mujica un ex guerrigliero dei Tupamaros. Idealista e vegetariano ha vinto le ele­zioni nel 2009. In Centro America è tornato in auge dal 2007 una vecchia gloria del Fronte sandinista, che però ha perso molto dello smalto rivolu­zionario e marxista. Daniel Ortega ha riconquistato la presidenza, ma con la crisi dei fratelli Castro fa l’occhioli­no all’Iran. In febbraio, all’inizio della guerra civile in Libia, ha definito il co­lonnello Gheddafi «un fratello».