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 2011  giugno 06 Lunedì calendario

LA CRESCITA COME PRIORITÀ NON PUÒ ESSERE SOLO UNO SLOGAN

«Il sistema fiscale si deve basare su tre principi: dalle persone alle cose, dal centro alla periferia, dal complesso al semplice». «La struttura stessa dell’Irap è demenziale, e non per caso l’Irap non c’è nel resto d’Europa. Non solo l’Irap penalizza il ceto medio produttivo, ma anche gli operai e i giovani in cerca di prima occupazione. L’Irap avrebbe dovuto detassare il lavoro e quindi favorire l’occupazione. Ma non è così, è l’opposto».

Si potrebbe continuare a lungo. Lo sfoglio di un vecchio libricino (titolo perentorio: Meno tasse più sviluppo, autore Giulio Tremonti e prefazione di Silvio Berlusconi) allegato a il Giornale nel maggio 1999, nel pieno della campagna elettorale per le elezioni europee, ci dà la misura della strategicità della questione fiscale per chiunque si sia trovato a governare da metà anni ’90 in poi. E contribuisce anche a spiegare i problemi e le difficoltà odierne del quarto governo Berlusconi, che dal ’99 a oggi è stato al timone per otto anni.

L’idea vincente che avrebbe portato alla vittoria del centrodestra nel 2001, fatto sfiorare un nuovo successo nel 2006 e trionfare nel 2008, è stata in larga parte ancorata ai progetti di cambiamento del fisco, molto croce e poco delizia di cittadini e imprese.

Meno tasse, più sviluppo. Lo slogan è secco, lineare, comprensibile. Figlio a sua volta della rivoluzione liberale promessa ma subito interrotta del 1994, sarebbe sbagliato affermare che nella realtà non è stato fatto nulla, in un contesto generale contrassegnato, per di più, dalle guerre e da una crisi finanziaria mondiale inferiore solo a quella del 1929.

L’elenco delle cose fatte è invece abbastanza fitto, compresa la svolta in direzione del federalismo fiscale che, se manterrà tutti gli impegni, consentirà ai cittadini di controllare la spesa con il voto fiscale: "vedo, pago, voto", per restare al libricino del 1999.

Però è un dato che l’Italia non cresce come potrebbe da molti anni, che proprio i nodi irrisolti della tassazione (a cominciare dall’esorbitante pressione fiscale) pesano come macigni sullo sviluppo e che questo problema, come confermato dalle analisi di tutte le più autorevoli istituzioni internazionali, mette il piombo nelle ali di un sistema-paese che deve uscire dalla stallo competitivo in cui si ritrova. All’assemblea annuale della Banca d’Italia il governatore Mario Draghi ha ribadito che andrebbero ridotte «in misura significativa» le aliquote sui redditi dei lavoratori e delle imprese.
«Dalle persone alle cose», dal «complesso al semplice», sono i messaggi che il ministro Tremonti prospetta da anni e che non manca di ripetere in queste settimane con riferimento all’agognata "riforma".
Gli spazi di manovra non sono ampi, dato il livello (circa 120% del Pil) del debito pubblico. Il governo ha fissato il pareggio di bilancio per il 2014 e si è impegnato in Europa a difendere questo obiettivo evitando ogni ricorso a politiche economiche in deficit. La parola d’ordine è "credibilità" sui mercati. Tremonti prospetta un’azione dal passo lungo e prudente e ha attivato quattro tavoli di confronto per la messa a punto di una legge-delega che segni l’avvio della riforma fiscale.
Nel frattempo è stato deciso di anticipare a giugno la presentazione del piano di rientro per il biennio 2013-2014 che vale 40 miliardi di euro e che il Parlamento dovrebbe approvare entro luglio. Il premier Berlusconi, colpito dal l’ultima sconfitta elettorale e dalla sfiducia mostrata nel Nord dai ceti produttivi, vorrebbe il massimo possibile (e forse anche di più) proprio sul fronte del "Meno tasse, più sviluppo". Si una annuncia una verifica politica, tra Berlusconi e Tremonti, dentro e fuori il Pdl, che incandescente è dire poco. Dalla stessa Lega, grande alleata del ministro Tremonti, giungono segnali inequivoci. Nel 2013, ha detto a L’Espresso il governatore del Veneto Luca Zaia, «sarà dura confrontarsi con gli imprenditori se non avremo varato una riforma che abbassi significativamente la pressione fiscale totale, oggi al 68 per cento».
I margini di manovra sono stretti, ma tra l’impossibile ritorno alla logica del debito e del deficit e un attendismo riformista quasi senza tempo, c’è spazio per mettere mano, in tempi ragionevoli e non futuribili, alla questione fiscale?
La ricognizione che presenta il Sole 24 Ore offre diversi spunti di riflessione. A partire da un intervento sull’Irap (fin qui promesso più volte nel corso degli anni ma non realizzato) che assieme alla semplificazione burocratica (ecco una riforma a costo zero) è in cima alle attese degli imprenditori. Nel menù c’è anche una limatura dell’Ires, il taglio dell’Irpef per i redditi più bassi, uno sgravio per i nuclei familiari più numerosi.
È ovvio che non si può fare tutto e subito, ma cominciare a dare segnali concreti è una strada praticabile. Tanto più se si considera che dal lato del reperimento delle risorse (a partire dai risultati della lotta all’evasione fiscale, che ha dato già risultati molto significativi, e da uno scrutinio rigoroso dei quasi 500 sconti fiscali che valgono per l’Erario circa 200 miliardi di euro) esistono le condizioni per accelerare il passo.
Il discorso vale per questo governo o per qualunque altro esecutivo dovesse prospettarsi all’orizzonte. Se la priorità è la crescita, la riforma fiscale non è un optional a futura memoria.