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 2011  giugno 06 Lunedì calendario

GIUSTIZIA CIVILE, UN CALVARIO

Una valanga di carta pari a 5,6 milioni di cause tiene in ostaggio l’Italia Spa. Fascicoli, ricorsi, perizie. Montagne di scartoffie arenate nella giungla della giustizia civile nazionale, un labirinto di contenziosi dove l’industria tricolore perde ogni anno quasi senza accorgersene un punto del suo Pil. Parola di Mario Draghi che, alla vigilia del trasloco alla Bce, ha affidato al Belpaese un elenco di otto nodi da affrontare con assoluta priorità: tra i quali, in posizione altissima, brillano proprio i problemi della nostra giustizia amministrativa. I numeri fotografano senza possibilità d’appello lo stato di salute del settore: «La durata media di un processo ordinario in Italia supera i mille giorni» ha ricordato il governatore di Banca d’Italia nelle sue ultime considerazioni finali.

Un’enormità. Quasi tre anni per l’esattezza 1.210 giorni, più o meno quattro volte i 331 della Francia per capire (in primo grado) in tribunale se si ha ragione o torto. Una dato che mette l’Italia all’ultimo posto nella classifica tra i paesi dell’Ocse e che ci ha relegati al 157esimo posto, su 183 nazioni, nella graduatoria di efficienza amministrativa "Doing business" compilata ogni anno dalla Banca Mondiale. Un ritardo che costa: le imprese del nostro paese perdono ogni anno a causa dei lacciuoli della giustizia civile qualcosa come 2,3 miliardi (stima Confartigianato), una tassa occulta di 371 euro per azienda.
Il problema è che questa giungla di udienze, norme, cavilli e riti (34 diversi secondo i calcoli del ministero guidato da Angelo Alfano) rende l’attività economica «eccessivamente rischiosa», assicura Confindustria nel suo rapporto Italia 2015. Un male necessario per chi è costretto a operare nel nostro paese. Ma soprattutto uno spauracchio che fa da deterrente per gli investimenti esteri che non a caso come calcola la Fondazione Farefuturo rappresentano in Italia solo il 19% del pil contro il 30% medio del resto delle nazioni più avanzate.
La fotografia del disastro è scoraggiante: nei vari uffici giudiziari italiani giacciono 5.602.616 procedimenti civili al 30 giugno 2010. Ricorsi contro le multe. Cause tra aziende e mille altri microcontenziosi. La riforma del codice di procedura avviata nel 2009 dal governo ha dato finora risultati deludenti. Nei dodici mesi al 30 giugno 2010, d’accordo, la pila di arretrati si è accorciata di 47.354 fascicoli, lo 0,8% del totale. Ma si è trattato di un fuoco di paglia visto che da allora, secondo le prime stime di via Arenula, il tachimetro della litigiosità nazionale ha ripreso a correre accumulando una valanga di nuovi procedimenti.
Il gap con il resto d’Europa quanto a cause facili è impressionante: secondo il Cepej, la commissione continentale per l’efficienza della giustizia, in Italia si incardinano ogni anno 4.809 processi civili ogni 100mila abitanti contro i 3.961 degli inglesi, i 2.672 della Francia e i 2.345 della Germania. Il vero problema oltretutto è che una volta messa in moto la macchina non la fermiamo più. Le conciliazioni e le mediazioni sono merce rara. E i procedimenti proseguono nelle aule dei tribunali a ritmi da moviola. Il perché lo spiega con chiarezza uno studio di Confindustria: «In molti ormai hanno fatto l’abitudine a ricorrere per via giudiziaria per dilazionare o aggirare un adempimento piuttosto che per risolvere davvero la controversia». Come dire che si va dall’avvocato anche quando si sa che si ha torto marcio, certi però di allontanare nel tempo e di molto il momento del pagamento. Non solo. Delle quattro parti in causa in aula, ben tre, sostiene viale dell’Astronomia, hanno interesse ad allungare l’iter giudiziario. Il presunto (e spesso probabile) colpevole per l’ovvio motivo di ritardare la sentenza. I giudici perché oberati di lavoro accolgono spesso le istanze di rinvio dopo udienze di pochi minuti. Gli avvocati per gonfiare i proprio onorari. Sarà un caso. Ma l’inefficienza della giustizia civile in Italia va di pari passo con i costi più alti d’Europa, visto che per arrivare a sentenza si spende fino al 30% in più del resto della Ue.
La lentezza della giustizia civile è tra l’altro uno dei pochi temi su cui Mario Draghi e Giulio Tremonti si trovano perfettamente d’accordo: «Così com’è, ingolfa tutto è il parere secco del ministro del Tesoro sciogliere questo nodo è un fattore strategico per lo sviluppo». Peccato che per arrivare a questo risultato non bastino i meccanismi deterrenti, né con i furbetti della causa facile, né con uno stato (il nostro) che ha una cronica tendenza a predicare bene ma a razzolare male. La vecchia Legge Pinto, ad esempio, prevede risarcimenti specifici da parte dell’amministrazione pubblica in caso di sentenze troppo lente della giustizia amministrativa. Dal 2001 ad oggi sono stati richiesti rimborsi per 250 milioni di euro. Ma, causa guarda un po’ la lentezza dell’iter giudiziario, ne sono stati liquidati solo 95, generando una sorta di legge Pinto al quadrato, con cause per i ritardi sui rimborsi delle cause. Non funziona da deterrente nemmeno lo spauracchio della Corte europea di Strasburgo che nel suo piccolo ha già emesso 475 sentenze contro l’Italia per la lentezza della giustizia civile tricolore.
La riforma del Codice di procedura civile approvata dal governo nel 2009, almeno fino ad ora, ha dato risultati scarsi. «Gli interventi degli ultimi anni sono stati incoerenti se non addirittura contrastanti e le modifiche hanno inciso poco sull’organizzazione dei tribunali e dei giudici», dice il pamphlet Italia 2015 di Confindustria. I dati sugli arretrati di cause, del resto, sono lì a confermare il giudizio. Il processo sommario di cognizione, una sorta di rito abbreviato per il civile, non ha funzionato. Anche perché, dicono le malelingue, deve essere richiesto dagli avvocati che non hanno alcun interesse a farlo. E l’avvocatura è una lobby che in Parlamento tira molto. La mediaconciliazione ha invece funzionato a metà perché annacquata dall’ultimo mille proroghe.
Le speranze di una svolta sono affidate a un disegno di legge all’esame della Camere che come primo obiettivo ha proprio il tentativo di erodere la montagna di arretrati. L’obiettivo sarebbe quello di affidare la montagna di 5,6 milioni di cause a un miniesercito di 600 ausiliari, magistrati in pensione che riceverebbero 200 euro a sentenza come compenso con un tetto massimo annuo di 20mila euro, cui dovrebbero affiancarsi migliaia di avvocati, tanto per dar loro un contentino (anche economico, è quello che alla fine conta di più) facendoli parte diretta con una piccola forzatura dell’iter giurisdizionale. Il provvedimento allo studio del Parlamento prevede pure l’appoggio di giovani laureati e la possibilità, salvo specifica richiesta delle parti in causa, di affidare il giudizio a sentenze sintetiche. Questa stessa strada è stata già seguita in passato dal governo Prodi che all’epoca del ministero di Giovanni Maria Flick con una strategia simile, era riuscito a smaltire 800mila procedimenti. Unico neo: l’operazione allora era costata qualcosa come 330 milioni di euro. Cifre che oggi, con i conti dello stato alle corde, è decisamente più difficile da trovare.
Sul tavolo quindi restano le proposte di Confindustria: applicare rigidamente il principio che chi perde paga le spese legali per scoraggiare il contenzioso, rivedere il tariffario degli avvocati, accorpare i tribunali minori (su 165 sedi, ben 93 hanno meno di 20 magistrati), digitalizzare il servizio, trasformare i presidenti in "court manager" e collegare la loro carriera a meccanismi di efficienza e alla loro capacità di favorire procedure conciliative. I tribunali più virtuosi (Trento, Milano e Torino), hanno già sforbiciato le durate nelle loro sedi grazie ad alcune di queste ricette. Il problema è che nel Belpaese la logica fatica a tradursi in pratica. E molti tribunali, per difendere antichi privilegi, proteggono se stessi a danno della soluzione dei problemi, degli interessi dei cittadini e delle imprese. Il cammino per il resto del paese dunque è, purtroppo, ancora lunghissimo.
La battaglia alle inefficienze della giustizia civile ha in palio però un premio che, specie con questi chiari di luna, vale oro: un punto di Pil per l’Italia.