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 2011  giugno 06 Lunedì calendario

BANCHE, L’EFFETTO PISAPIA E LE CARTE DEL MINISTRO

Quale influenza avrà vittoria del centrosinistra nelle elezioni amministrative, alla quale ha corrisposto l’incapacità della Lega di assorbire la crisi del Pdl? Le risposte sono due. La prima, facile, è la seguente: l’effetto Pisapia allenterà l’assedio del Carroccio alle fondazioni bancarie e non faciliterà l’influenza del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, nelle grandi partite finanziarie. Tentazioni sinistre Le conseguenze non sono da poco. Intendiamoci, anche il centro-sinistra è caduto tentazione. Basti ricordare vicenda delle nomine a Intesa Sanpaolo e il ruolo in ultima analisi confusionario che ebbero il Comune di Torino la Compagnia di San Paolo. Ma di certi peccati il centrosinistra si pente già nel commetterli per due buone ragioni: le fondazioni sono state inventate da Amato e Ciampi, padri nobili del proprio schieramento; b) i leader delle fondazioni provengono spesso dalla dissolta sinistra Dc e, non avendo più una parte alle spalle, possono tanto meglio difendere il proprio ruolo quanto più lo interpretano in chiave istituzionale, facendo tesoro della loro antica cultura politica. Un esempio per tutti: Giuseppe Guzzetti, già governatore della Lombardia e ora presidente della fondazione Cariplo e dell’Acri, l’associazione nazionale del settore. Diverso è stato l’approccio di Tremonti e della Lega. Prima, nel 2002-2003, il tentativo di smantellare la legge Ciampi subordinando le fondazioni agli enti locali, allora gran numero controllati dal centrodestra. Poi, l’entrismo leghista, prima urlato e poi sotto voce. Gli statuti delle fondazioni impediscono le spallate. In Unicredit, per esempio, la successione ad Alessandro Profumo è stata decisa dagli azionisti, fondazioni in testa, contro il ministro dell’Economia preoccupato per la soluzione di continuità. E sono saliti alla ribalta un banchiere puro, Federico Ghizzoni, piacentino come Pier Luigi Bersani, e un banchiere con un passato politico, Fabrizio Palenzona, fino al 2004 presidente della Provincia di Alessandria per il centrosinistra e, dicono, tuttora sottoscrittore della locale sezione del Pd. Ma con tempo un fronte berlusconian bossiano sempre vincente avrebbe eroso le posizioni degli altri ed espugnato le fondazioni, architrave del potere che controlla Intesa Sanpaolo e Unicredit ed è presente Mediobanca. Del resto, uomini come Giuseppe Guzzetti Giovanni Bazoli, decano dei banchieri che simpatizzano per il centrosinistra, sono stati protagonisti di una storia irripetibile, che a loro fa da scudo, non necessariamente chi verrà dopo. Orbene, con centrosinistra al potere a Milano e in tutte le grandi città italiane tranne Roma e Palermo, anche il rinnovamento delle fondazioni avverrà nei tempi e nei modi dettati da Guzzetti e dai suoi colleghi. E ora la risposta difficile. Che parte dall’opinione di Guzzetti, largamente condivisa tra i banchieri, favorevole alla candidatura di Vittorio Grilli a governatore della Banca d’Italia. Un’opinione fatta pervenire anche al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ancorché il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, smentisca le voci su incontri al Quirinale. Grilli, direttor e generale del ministero, è il candidato di Tremonti, non di Draghi e del direttorio della banca centrale, punti di riferimento del centrosinistra. Le ragioni di questa convergenza tra i banchieri e il ministro, impensabile due anni fa, si trovano in positivo nella capacità moderatrice di Grilli durante le maggiori tensioni tra lo stesso Tremonti e le banche; in negativo nelle considerazioni finali Draghi sulle trattative per Basilea III, che penalizza le banche italiane. A differenza di tanti altri, densi di cifre e di fatti, questo passaggio un po’ politichese non fa capire bene che cosa sia stato portato a casa e che cosa no. Silenzio, per esempio, sulle azioni di risparmio e privilegiate, che ancora non si sa se siano o no capitale, come sulla facoltà di liquidare le quote della Banca d’Italia, promessa e poi lasciata cadere. I banchieri, dunque, difendono gli interessi delle loro aziende, al di là delle simpatie politiche. Starà semmai al premier e la presidente non tenerne conto, in contrasto con l’interesse generale. La foresta di Sherwood Tremonti, comunque, non è più il Robin Hood che voleva spennare le banche, immaginandole ricchissime, e mandare in galera i banchieri, succubi di Wall Street. Indebolito dal voto, il ministro avrà ancor più interesse all’accordo. Ma i banchieri hanno interessi diversi. Intesa e Unicredit non sono uguali. Mediobanca è una terza cosa. Generali una quarta. Tremonti ha contribuito alla cacciata di Cesare Geronzi, nonostante solo un anno prima ne avesse sostenuto l’ascesa in Generali. Ora la partita trasferisce in Mediobanca, dove i francesi di Vincent Bolloré, sconfitti a Trieste, dovranno mollare la presa. Il ministro dell’Economia è un fautore del patriottismo economico. Una linea tutta da declinare un concreto. Ci sono tanti modi per risolvere il problema: far subentrare le fondazioni oppure trattarne l’appoggio a un patto meno ampio; aprire a un socio amico, che sarà amico soprattutto di chi lo finanzia, oppure suddividere la quota francese tra i pattisti, magari con qualche nuovo nome. Interverrà la moral suasion del ministro dell’Economia? E ben sapendo che ogni soluzione rallegra o rattrista soggetti diversi, avrà Tremonti l’effetto scarso registrato Unicredit o l’effetto pieno Generali? La sua briscola potrà sempre essere calata nella partita a carte del potere. Ma sarà un tre, non un asso.