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 2011  giugno 06 Lunedì calendario

E ADESSO TUTTI PENSANO CON TERRORE A DOMANI


L’agonia e la morte di Cavour sono raccontati da un testimone diretto, il giovane diplomatico francese Henry d’Ideville, che nella Torino di quegli anni annotò, giorno dopo giorno, ciò che osservava con il suo sguardo attento. In Italia il suo Journal è stato tradotto (e più volte ripubblicato) con il titolo «Il Re, il Conte e la Rosina». Proponiamo qui uno stralcio dei giorni 5 e 6 giugno 1861.


Mercoledì 5 giugno 1861
non è vero?” le disse. La marchesa lle dieci, Sua Maestà, ac- per rassicurarlo gli rispose il contracompagnata dal generale rio: “Ebbene, figlia mia, sono io che Cigala, si era presentato domani li abbandonerò”, riprese soral palazzo penetrando, ridendo. senza far avvertire nessu- «La cerimonia religiosa, invece no, fin nella camera del morente. La d’impressionarlo, gli ha dato una marchesa Alfieri e suo fratello Einar- grande serenità. Da quel momento è do, il marchese Rorà e la suora di cari- stato più calmo. L’avete visto iersetà che curava il malato erano in piedi o ra, i suoi lineamenti non hanno camin ginocchio presso il letto. biato molto!».

Il re restava appoggiato alla porta Il signor Cavour aveva un grande senza entrare. Nessuno degli astanti affetto per padre Giacomo, il sacerdosi era accorto della sua presenza e fu te che lo ha confessato e gli ha ammiCavour stesso che la notò per primo, e, levando il braccio verso la porta, disse: «Ah! Maestà!». I familiari si ritirarono subito per lasciar solo il re col suo ministro.

Il colloquio durò più di dieci minuti, e il re uscendo aveva gli occhi pieni di lacrime.

Alle due, prima di rincasare, ho voluto passare dal palazzo. Nonostante l’ora tarda della notte, davanti al portone, che aveva i battenti chiusi, sostavano ancora gruppi di gente. Mi feci aprire. Nel vestibolo trovai il nipote Einardo. Il povero giovane faceva pena a guardarlo: da ventiquattr’ore era diventato irriconoscibile; usciva dalla camera dello zio per prendere una boccata d’aria. «In questo momento», mi disse, «la febbre è diminuita». Ma il delirio continuava; la voce del moribondo era talmente forte, la vita ancora così potente in lui, che attraverso il vestibolo e due saloni sentivamo le parole del malato. «Pronuncia continuamente», mi disse Einardo, «le parole: “Imperatore! Italia! Niente stato d’assedio!”. Stasera ha perfettamente riconosciuto il re. Questa visita, che noi temevamo, non l’ha però affaticato. In certi momenti ritrova tutta la sua lucidità e parla con calma del suo stato, di cui capisce la gravità. Ieri, nella notte, nistrato i supremi conforti; la famiglia lodava molto il tatto e l’intelligenza con cui i monaci della Madonna degli Angeli hanno compiuto la loro triste missione.

Dopo avermi dato questi particolari, Einardo mi lasciò per rientrare nella camera dello zio. Mi strinse la mano, scuotendo la testa.

«Tutto sarà finito», mi disse, «quando ci rivedremo».

Giovedì 6 giugno 1861 Il conte di Cavour è morto stamattina alla sei e tre quarti. Alle sette Rayneval mi ha svegliato per darmi la notizia. Sono uscito immediatamente. La costernazione e lo stupore che regnano nella città hanno qualcosa di spaventoso. Tutti i negozi sono chiusi; gli abitanti circolano senza sapere dove vanno, col viso sconvolto, interrogandosi e parlando tra loro dell’orribile disgrazia. Più d’uno si rifiuta di credere alla notizia e si reca al palazzo per averne conferma.

All’una, la Camera e il Senato si sono riuniti per ascoltare la comunicazione del governo.

Il ministro dell’Interno, Minghetti, è scoppiato in lacrime annunziando la morte del conte Camillo di Cavour, presidente del Consiglio.

Il presidente Rattazzi ha pronunziato, con voce calmissima, poche parole abbastanza calorose. Moltissimi deputati piangevano. La Camera ha deciso immediatamente di interrompere le sedute per cinque giorni. La tribuna e il banco dei ministrisaranno parati a lutto per un mese, la bandiera posta alla porta del palazzo Carignano, che annunzia che il parlamentoè in seduta, sarà coperta da un velo nero. Tutta la Camera assisterà ai funerali.

Non saprei dire l’impressione profonda di ognuno dei presenti, nel vedere al banco dei ministri quel posto vuoto che nessuno potrà mai degnamente occupare.

Si credeva, a momenti, di uscire da un brutto sogno; si sperava di svegliarsi e di vedere il conte Camillo entrare sorridendo, come al solito, e sedersi al posto che occupava ancora cinque giorni prima. [...]

Il municipio ha fatto affiggere un bellissimoproclama, in cui invita i cittadini «a non lasciarsi abbattere dallo scoraggiamento, a onorare la memoria di colui che non è più, armandosi di energia e di tenacia. Dio, inviando loro questa prova crudele, li avverte di contare su se stessi».

I giornali sono listati a lutto. Nell’ Armonia , giornale clericale, un articolo notevolissimo, pieno di nobile generosità, rende giustizia al grande cittadino ch’esso ha sempre combattuto. Solo l’infame giornale di Mazzini e di Garibaldi, l’ Unità italiana , osa lasciar esplodere la sua gioia.

E tutti, nemici o amici, pensano con terrore al domani, tanto erano abituati a contare su quella vasta intelligenza, su quel genio profondo che sapeva così meravigliosamente superare i pericoli e arrivare in porto.