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 2011  giugno 06 Lunedì calendario

LA VANITA’ SI SPECCHIA NEL MASCHIO

Il primo metrosexual fu Giulio Cesare. Accusa il solito Svetonio: «Non solo si faceva spuntare la barba, ma qualcuno gli ha rimproverato anche di farsi depilare». Sospetti di omosessualità compresi: era «il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti», secondo certe malelingue. Ma la vendetta divina è sempre lì, pronta a colpire questi uomini troppo ansiosi di piacere e, peggio, piacersi. Come quel diacono dell’epoca di Carlomagno che, dopo aver preso un bagno, si era rasato, aveva pulito la pelle, tagliato le unghie e accorciato i capelli. E subito morì per la puntura di un ragno.
Questa «Histoire de la coquetterie masculine», storia della civetteria (o della vanità) maschile, è in realtà un denso, dotto e raffinato saggio di Jean Claude Bologne, già autore di una «Storia del pudore» e di una «Storia delle conquiste amorose» altrettanto promettenti. Ma è troppo forte la tentazione di prenderlo come un’irresistibile fiera delle vanità di lui. Per scoprire che David Beckham e i suoi replicanti che oggi invadono le nostre metropoli, abbronzati, palestrati, depilati, profumati, elegantissimi e pettinatissimi, non sono né i primi né gli ultimi nella storia bimillenaria della civetteria maschile. L’unica novità è che, oggi, non bisogna fare lo slalom fra le scomuniche della Chiesa e le leggi suntuarie dello Stato.

Già Aristofane satireggia «gli oziosi capelloni che prendono cura dei loro anelli e delle loro unghie». Chissà cosa avrebbe detto dei corsi e ricorsi della moda romana. Aulo Gellio rimprovera il giovane Scipione che decide di rasarsi, quando i patrizi non lo facevano che dai quarant’anni in su. Passa qualche secolo e l’imperatore Adriano, oltre a farsi arricciare i capelli, impone la moda della barba per nascondere alcune macchie della pelle del viso. Il Medioevo non è propizio alla vanità in generale e a quella maschile in particolare. I padri della Chiesa fulminano anatemi e bisogna aspettare le Crociate perché, prendendo esempio dagli infedeli ma puliti nemici, in Occidente tornino i bagni. Ancora qualche decennio ed ecco il simbolo della vanità medievale: la «poulaine». Alias quelle scarpe dalla punta chilometrica che inducono noi posteri a chiederci come diavolo facessero gli avi a camminare. E infatti camminavano malissimo: «Queste scarpe che avrebbero dovuto proteggere i miei piedi facevano loro una guerra senza pietà», sospira Petrarca. Ma, per far colpo su Laura, questo ed altro, salvo poi, da vecchio, deplorare le vecchie follie: «Che dire dei ferri per acconciarsi e della cura che avevo per i miei capelli?». Petrarca con i bigodini, pazzesco...

Passa il Rinascimento e l’uomo continua a farsi bello. Fino allo scandalo, quando per esempio Carlo V si fa ritrarre da Tiziano con la braghetta corta e la «coquille», la conchiglia, fra le gambe, che in teoria dovrebbe coprire ma in pratica sottolinea l’imperiale strumento per dare eredi agli Absburgo. Dall’altra parte della Manica risponde Enrico VIII, più pieno di gioielli che la vetrina di Tiffany. L’escalation è documentata dai ritratti di Holbein il giovane: nel 1536, il Re ostenta sul farsetto 29 fra diamanti, perle e altre pietre; nel 1537 sono 79 e 140 nel 1540. Più anelli, catene e altre gemme sparse (per esempio, sul cappello).

E Luigi XIV? Il Re Sole porta 12 centimetri di tacco, perfino più del suo successore Sarkozy, per slanciare il suo modesto metro e 61. E, quando inizia a perdere i suoi bei capelli biondi, codifica l’uso della parrucca, barocco trionfo dell’arte sulla natura. Durante la Rivoluzione si perde la testa anche per la moda, come testimoniano gli «Incroyables», anzi «Inc’oyables», perché pronunciare la erre non è chic. E’ già tempo di Ottocento e delle sue tribù fra mondanità e cultura, «dandy», «fashionables», «lions». Il meglio del Romanticismo lo dà Théophile Gautier che nel 1830, per la prima dell’« Hernani», ordina al sarto un gilet «fenomenale» fatto come un farsetto medievale e rosso squillante, destinato a far imbufalire i classici almeno quanto la mancanza di unità di tempo, di luogo e d’azione della tragedia dell’amico Victor Hugo.

Siamo già alla contemporaneità narcisista, con tutte le sue contraddizioni. Un esempio? Il gel effetto «pettinato spettinato», che permette di essere pettinati senza dare l’impressione di averlo fatto. Per Bologne, è «senz’altro questo il colmo della civetteria maschile - poche donne si permettono di uscire scarmigliate -, che gioca sulla ricerca di un effetto svincolato da ogni accusa di civetteria». Essere elegantemente ineleganti (e viceversa), vanità delle vanità.