Nicola Lombardozzi, la Repubblica 6/6/2011, 6 giugno 2011
TUTTI IGNORANO L’ABKHAZIA, LA REPUBBLICA CHE NON C’È
Che ci fanno insieme nella stessa storia, un popolo di montanari e contadini del Caucaso del Nord, un lontano arcipelago di atolli e vulcani nell´Oceano Pacifico e 300 abilissimi giocatori di domino sudamericani? Ci fanno un mezzo scandalo internazionale seguito, con una certa apprensione e con interessi opposti, sia alla Casa Bianca che al Cremlino. Protagonista principale della vicenda è la tormentata regione dell´Abkhazia, che si autodefinisce stato indipendente dopo la guerra dell´agosto del 2008 tra Russia e Georgia che mise a dura prova le capacità delle diplomazie di mezzo mondo per evitare un conflitto più grave e su più vasta scala.
Da allora, grazie al sostegno militare dell´esercito russo e agli aiuti economici elargiti sottobanco da Mosca, la piccola repubblica di Abkhazia (240mila abitanti in 8mila e cinquecento chilometri quadrati) ignora le minacciose rivendicazioni georgiane e cerca disperatamente un riconoscimento diplomatico che tarda ad arrivare. La lista dei Paesi che finora hanno deciso di inviare un loro ambasciatore nella capitale abkaza, Sukhumi, è desolatamente breve: la Russia, ovviamente; il Venezuela dell´amico personale di Putin, Chavez; il Nicaragua che il Fondo Monetario Internazionale definisce il Paese più povero dell´America Latina; e l´isola di Nauru, in Oceania, la più piccola repubblica indipendente del mondo con i suoi 21 chilometri quadrati.
Alla lista, con grande risalto sui giornali russi più allineati al governo, si è aggiunto l´altro ieri un altro nome esotico, la repubblica di Vanuatu, un arcipelago di 83 isole vulcaniche dall´altra parte della carta geografica, nel Mar dei Coralli, tra Nuova Caledonia e Isole Salomone. Non è proprio una grande potenza ma rappresenta comunque una piccola vittoria diplomatica per Sukhumi e soprattutto per Mosca impegnata a dare un senso sempre più ampio allo strappo territoriale del 2009. Il guaio è che questo tanto propagandato riconoscimento non sembra così lineare e nasconde probabilmente anche un retroscena di pressioni politiche e di vera e propria compravendita. Subito dopo l´annuncio infatti, a smentire tutto, ci ha pensato il signor Donald Kalpolkas, che vive a New York e fa il rappresentante di Vanuatu presso le Nazioni Unite. «Deve esserci un equivoco – ha spiegato candidamente ai giornali – a Port Vila, la nostra capitale, nessuno sa nulla. D´altra parte noi abbiamo un accordo con la Georgia e con gli Stati Uniti, non certo con l´Abkhazia e la Russia».
Imbarazzato, e probabilmente severamente rimproverato da Mosca per essersi sbilanciato un po´ troppo in avanti, il ministro degli Esteri abkazo ha mostrato in tv un attestato di riconoscimento inviato via fax dalle isole tropicali: «C´è la firma del primo ministro di Vanuatu, ci abbiamo messo tre mesi per convincerlo». Il fatto è che a Vanuatu la situazione politica non è molto tranquilla. Il premier, nominato dalla locale corte suprema al termine di elezioni contestate, rischia di essere deposto da un momento all´altro e cerca probabilmente a sua volta sostegno internazionale. E forse, sostengono molti maligni, anche qualche beneficio personale. Perché la campagna acquisti di Mosca nell´intento di trovare paesi disponibili a riconoscere l´Abkhazia sembra sempre più decisa. E concentrata su aree del mondo lontane e poco suscettibili alle pressioni Occidentali. Soprattutto dopo il fallito tentativo di coinvolgere paesi europei come l´alleato bielorusso Lukashenko che prima aveva promesso di aderire e che poi si è rimangiato tutto spiegando personalmente a Putin che non era il caso di urtare ancora di più la suscettibilità di Washington che già lo definisce, con molte valide motivazioni, "l´ultimo dittatore d´Europa".
Mosca non commenta ma insiste nel suo piano di legittimazione dell´Abkhazia. Non badando a spese. Pochi mesi fa ha stanziato un milione di dollari per realizzare in ottobre a Sukhumi, nientedimeno che i campionati mondiali di Domino, l´unico sport la cui federazione è in qualche modo controllata dal Venezuela. Alla manifestazione sono già iscritti trecento giocatori professionisti, maghi delle tavolette d´avorio, in gran parte latino americani. Ma le pressioni e i premi individuali "in nero" potrebbero portare nuove sorprese. Molti giocatori statunitensi, infatti, nonostante il veto ufficiale sembrano disposti a sfidare l´embargo. Contando sulla massiccia componente latina dei giocatori di Domino degli Usa il presidente della federazione americana, Manuel Oquendo ha già lanciato la sfida: «Non credo che ci chiederanno di mischiare lo sport con la politica. Andremo a Sukhumi». Per i registi della televisione russa, incaricati direttamente da Putin di dare spazio all´evento, comincia adesso la sfida più difficile: rendere interessante il Domino in tv.