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 2011  giugno 06 Lunedì calendario

L’ITALIA BLOCCATA DEL NON FARE

Ogni giorno un mattoncino in più costruisce l’Italia del non fare. L’ultimo contributo all’immobilismo del Paese arriva da Agrigento dove il Comune è pronto a bloccare il rigassificatore di Porto Empedocle.
Per ogni metro attraversato da un’opera strategica si solleva un grattacielo di ricorsi, carte bollate, rinvii o dinieghi di autorizzazioni, richieste di compensazioni fuori misura, veti di enti locali o del Tar.
È il trionfo del Nimby (not in my backyard: non nel mio cortile). In due settimane si è materializzata un’autentica antologia di occasioni perse.
Ikea che rinuncia a un investimento di 100 milioni in provincia di Pisa, la bocciatura del Consiglio di Stato alla conversione della centrale di Porto Tolle a carbone pulito, l’ultimatum di British Gas stanca di un’attesa lunga 11 anni per il rigassificatore di Brindisi, l’addio di Maersk al porto di Gioia Tauro giudicato poco competitivo, l’inatteso stop a Porto Empedocle di cui riferiamo oggi.
Un rosario sgranato con puntualità quasi quotidiana, una sequenza ravvicinata di eventi che suona come l’ultimo appello a un Paese malato di bassa crescita. Gli investimenti pubblici scendono dai 38 miliardi del 2009 ai 32 del 2010 e ai 27 del 2012, numeri già sufficienti a spiegare perché rinunciare a investimenti privati è un lusso da non permettersi. La classifica della Banca mondiale "Doing business" ci relega all’80esimo posto, penultimo tra gli Stati membri della Ue, davanti solo alla Grecia, con un’incidenza del fattore burocrazia tra le più alte in assoluto.
Le graduatorie sull’attrazione di imprese internazionali non sono più confortanti, visto che tra il 2009 e il 2010 gli investimenti esteri sono calati del 35% quando la Spagna, per citare un nostro storico competitor, metteva a segno un +2%. Interrogati, manager e imprenditori stranieri non avrebbero dubbi nell’indicare le ragioni. «Anche in altri Paesi come il Giappone la burocrazia è forte e i passi da fare sono tanti – spiegava al Sole 24 Ore l’ad di Ikea Italia, Lars Petersson – ma almeno sono prevedibili». La conseguenza è che investimenti stranieri e opere infrastrutturali strategiche risultano perennemente in bilico, esposti all’imponderabile bizantinismo made in Italy.
C’è ancora tempo però per cambiare passo e ristrutturare la governance delle grandi opere. Non manca chi fa il tifo, come dimostrano gli operai di Porto Tolle che hanno raccolto firme per salvare l’investimento bloccato oppure gli illuminati pionieri del Pimby, il partito del "please in my backyard", che non si arrendono alla dittatura del no.