Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 02 Giovedì calendario

L´OSSESSIONE DI SIGNORI SCOMMETTERE SU TUTTO "SE GIOCO NON HO LIMITI" - BOLOGNA

La maglia numero 10 del Bologna se la giocò a carte col compagno di squadra Locatelli. Con un altro, Fontolan, la posta divenne un lancio in parapendio. Col medico sociale dei rossoblù, il dottor Nanni, una scalata in bicicletta sull´Appennino. E con l´allenatore Guidolin ogni estate fissava un limite di gol da superare: il tecnico perse e fu costretto a pulirgli le scarpe, poi vinse e se lo portò dietro in bici fino a Cervia. In fondo, a ripensarci adesso, pure la carriera di Beppe Signori è stata una lunga scommessa. Da quando Zeman, al Foggia, lo battezzò "bomber" al primo incontro e gli cambiò la vita, a quando, in età matura, accettò il prestito al Bologna per rigenerarsi e restarci sei stagioni. Una sfida dopo l´altra. Di quelle, non s´è mai saziato.
Per Signori, "scommettere" è sempre stato il verbo preferito insieme a "segnare". Da quando ha smesso col secondo, gli era rimasto solo l´altro. Una passione, prima. Un´ossessione, poi. La palesò con uno sfizio, una roba da fiera del paese: provate a mangiare una merendina Buondì in trenta passi spediti e vi do cinquantamila lire. L´aveva visto fare in discoteca, lo introdusse in ritiro col Bologna a Sestola nel 2000. Arrivò a mobilitare, allora, cento persone, fra compagni e tifosi. Quasi un circo. Tutti ci provavano spavaldi, tutti posavano la banconota alla fine. Lui alzò la posta fino a un milione. «È impossibile riuscirci», sghignazzava.
Il passato è la fotografia di un demone, da romanzo di Dostoevskij. Il presente lo stabilirà l´inchiesta. «Abbiate pietà» è l´unica cosa che riesce a dire ai cronisti Beppe Signori, l´ex giocatore, che giocava ancora. Su tutto, con tutto. Dalle banalità quotidiane ai match più impensabili. Un tempo, trovarlo a Bologna alla ricevitoria dell´amico Giuliano Fiorini, l´ex attaccante prematuramente scomparso, era naturale come beccare Fonzie in officina. E lui, Beppe, la sua passione non l´ha mai nascosta: «Puntare è un modo per mettersi in discussione, è funzionale al mio approccio alla vita. Servono sempre nuove sfide, nuovi traguardi, per evitare di scadere in un´esistenza piatta», disse una volta.
Poteva sfidare pure una macchinetta per tirare freccette, Beppe-gol. Scommetteva sul Roland Garros e sulle prove di motociclismo. I soldi li ha sempre avuti, era il brivido a mancargli. «Spesso punto i pasticcini o una bottiglia, è la sfida che mi attrae», spiegava l´ex monello col ciuffo che una volta portava Padre Pio sulla canotta. Raccontava così pure l´altro grande amore: la roulette, il casinò. Se n´era fatto costruire uno nella sua casa all´Olgiata, quando era un re di Roma. Persino i gettoni erano personalizzati, avevano il suo numero laziale, l´11. Aveva comprato tutto a Las Vegas, pure gli sgabelli. Confessava di andare «due volte l´anno a Saint Vincent, Campione o Venezia, ma il fascino di Montecarlo è unico. E´ difficile spiegare il brivido che ti dà la roulette: ma quando gira la pallina senti l´ansia che comincia a crescere. E la voglia che quella maledetta si fermi nella tua "buca", sul tuo numero. Io vado poche volte, ma quando vado sono "senza limiti", butto anche 70 milioni di lire in una sera».
Giocava sugli altri e su se stesso. Con un opinionista tv puntò mezzo miliardo di lire che sarebbe arrivato a 200 gol in A. S´è fermato a 188, ma quella puntata non fu mai messa nero su bianco. Un presagio triste. Ora che nelle intercettazioni Beppe non figura mai col suo cognome, ma come "colui che ha segnato più di 200 gol in A", l´appellativo statisticamente imperfetto pare una beffa. Una merendina che fai fatica a divorare, mentre i passi corrono troppo veloci.
Il destino nel ruolo. In campo, punta. Fuori, pure. «Noi che ce l´abbiamo nel sangue sappiamo che la nostra psicologia è una sola. Non avere limiti. Se ti controlli e pensi a quanto devi puntare hai già perso, perché vuol dire che sarai teso, impaurito», diceva. «Io scommetto spesso anche sulle partite - scriveva nella sua autobiografia nel 2000 -, adesso che si può fare. Punto sempre su di me, quando sono coinvolto. Mai contro. Sennò cerco risultati difficili, quando riguardano gli altri. Punto sulle sorprese».
Finché giochi a calcio hai un campo vero su cui sfogare l´ossessione: un tavolo verde molto più lungo. Un prato dove far correre libero il tuo demone. Dopo, forse, resti da solo con lui.