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 2011  giugno 02 Giovedì calendario

DAL LODO ALLA LEGGE BAVAGLIO E L´ENFANT PRODIGE DIVENTA IL DELFINO - ROMA

La più grande ossessione? Leggere la mattina cos´hanno scritto i giornali. Su di lui, ovviamente. Il maggior divertimento? Vedere che foto gli pubblicano e, nei sondaggi, dov´è arrivato a posizionarsi. Per questo, non appena è uscito l´Ipad, è stato il primo tra i ministri a sfoggiarlo. La grande passione della sua vita? La moglie Tiziana e i figli Federico e Cristiano. «La mia famiglia è la mia forza» confessa. Ma pure di Berlusconi dice: «Mi sono innamorato di lui guardandolo in tv quando fece la sua discesa in campo» Poi, senza remore: «È stato un innamoramento a senso unico, da tubo catodico. Mi candidai alle provinciali nel ´94. Avevo 24 anni». L´occasione in cui si è arrabbiato profondamente? Quando hanno adombrato che potesse avere legami con la mafia: «Io? Che ho fatto di Falcone il mio mito? Io che ho firmato tutti i decreti di 41 bis che mi hanno sottoposto? Io che ho voluto il nuovo codice antimafia? Chi solo si permette di adombrare una cosa del genere con me ha chiuso per sempre».
Questo, e molto altro, è Angelino Alfano. Angelino Jolie, come lo ha battezzato Marco Travaglio, che lo massacra per aver proposto e assecondato tutte le leggi ad personam volute dal Cavaliere. Lui, sul nomignolo, ci ride sopra. Quanto alle norme per Berlusconi ha la difesa pronta: «Uno che è stato massacrato dai giudici non ha forse il diritto di difendersi?». Quando, a ogni incontro, lo hanno criticato per i vertici a palazzo Grazioli «con gli avvocati del premier Ghedini e Longo», ha scelto di non replicare. E andare avanti.
Dal padre, dc siciliano di lungo corso, ha imparato l´arte della mediazione allo sfinimento. Su questa punta quando Berlusconi, a 37 anni, lo nomina a sorpresa ministro della Giustizia. Esordisce in salita: «Io troppo giovane? Pensate a Bob Kennedy». Con i magistrati tenta la sfida impossibile e si veste da colomba: «Lavorerò con loro» dichiara di primo acchito. Al congresso dell´Anm, a un mese dalla nomina, pronuncia la frase che gli verrà poi rinfacciata di continuo dalle toghe: «Il mio programma sarà il vostro programma». Promessa che il Guardasigilli del Cavaliere non può mantenere. Quando, neppure un mese dopo, giugno 2008, porta a palazzo Chigi la legge "bavaglio" sulle intercettazioni, il feeling si esaurisce. «Ci eravamo illusi» dirà il presidente dell´Anm Luca Palamara. E Angelino di loro: «Siete sindacalisti allo stato puro». Eppure il rapporto tra i due è rimasto, ancora alla festa di Napolitano scherzavano dandosi del tu, parlando di calcio e di diete.
È fatto così Alfano. Gran sorriso che comunica disponibilità, ma fermezza coriacea. Sulla politica della giustizia in chiave anti-toghe non ha avuto esitazioni. Ancora ieri mattina, alle 11, eccolo a Montecitorio per difendere la "sua" riforma davanti alle commissioni Giustizia e Affari costituzionali. S´è trattenuto 40 minuti. «Torno nel pomeriggio» ha detto andandosene. Quasi che l´ultima uscita del Cavaliere potesse saltare.
Se anche fosse accaduto non avrebbe fatto rimostranze. Fedele fino alla morte. Al punto da compiere l´unico gesto irruente che di lui si ricordi. La scheda per votare alla Camera scagliata nell´emiciclo e finita tra i banchi dell´Idv per protestare contro Fini, colpevole di aver bruscamente chiuso la votazione sul conflitto per Ruby. Da uno come Alfano non se lo sarebbe mai aspettato nessuno. Cattolicissimo, presente a ogni pellegrinaggio organizzato da monsignor Fisichella. Assieme a Maurizio Lupi, suo amico, prima a Gerusalemme, poi a Lourdes.
Ma Alfano, il mediatore, non perde un colpo se c´è da difendere il Cavaliere. Come sul suo lodo, il lodo Alfano. Dichiarazioni e interviste prima delle decisione della Consulta per lanciare un segnale preciso: «Sono certo che non lo bocceranno». Poi, a legge respinta, il leit motiv insistente: «Ho rispetto per loro, ma hanno sbagliato, il mio lodo era costituzionale». Ha mandato ispezioni assai contestate, come quella a Trani per il caso Agcom che coinvolgeva Berlusconi, e quella a Milano per l´indagine sui preti pedofili. S´è messo contro il Csm («Non faccia politica») e s´è arrabbiato con il vice presidente Michele Vietti. Colpevole di avergli detto in faccia che, in due anni, nulla s´era fatto sulla giustizia.