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 2011  giugno 03 Venerdì calendario

I DUE QUESITI SULL’ACQUA E QUEI DUBBI TRA I DEMOCRATICI —

Bruciati sul traguardo. Il 24 maggio 2010 si sentivano così, i promotori dei comitati per l’acqua pubblica. Doveva essere un giorno di festa, perché partiva ufficialmente la raccolta-firme per il referendum abrogativo della legge Ronchi, con relativo quarto d’ora di visibilità, puro ossigeno per il movimento. Appena 48 ore prima dell’evento, gli «amici» del Pd avevano pensato bene di presentare la loro personale controffensiva alla privatizzazione dei servizi idrici voluta dal governo Berlusconi. Coincidenze, solo coincidenze. Il progetto di legge, accompagnato da una petizione popolare, aveva al suo centro l’istituzione di una Autorità nazionale con «una forte regolazione pubblica nell’ambito di una gestione industriale del servizio» , così disse Pier Luigi Bersani. Il segretario del Pd ribadì la sua scarsa fiducia nel referendum, «iniziativa simpatica ma senza sbocchi concreti» . Emilio Molinari, il papà del movimento per la ripubblicizzazione dell’acqua, considera quel giorno come il punto più basso nei rapporti con il centrosinistra. Fin dagli albori sembravano nati per non capirsi, i futuri referendari e i discendenti del Pci-Pds. Le avvisaglie erano state ottime e abbondanti. Nel 2004 il Forum Internazionale sull’acqua era finito con saluti ghiacciati, dopo una discussione durata ore sulla dichiarazione finale. «L’acqua non può essere una merce» era la frase incriminata. L’allora sindaco di Roma, Walter Veltroni, aveva insistito per aggiungere un «come le altre» , che a parere di Molinari cambiava tutto. In quegli anni il caso di scuola portato dal movimento a sostegno delle proprie tesi era quello della Toscana, che aveva in sé anche qualcosa di simbolico dei rapporti tra politica dal basso e centrosinistra. Il governatore della Regione che per prima applicava il modello misto pubblico-privato tanto avversato dai referendari perché considerato propedeutico alla cooptazione politica, era Claudio Martini. Uno degli uomini politici più vicini all’ex movimento no global, padre nobile del Forum sociale di Firenze del 2002, addirittura ospite d’onore al primo Forum mondiale per l’acqua, amico del nume tutelare Riccardo Petrella. «Fino a che c’è da promuovere le belle parole, voi ci siete— scrisse Molinari al governatore—, ma sui fatti ci prendete in giro» . Sullo sfondo della rottura non c’era solo la contestazione a un modello di gestione dell’acqua che i referendari considerano sbilanciato sul privato, senza alcun vantaggio per i cittadini. Nell’immaginario collettivo del movimento c’era il sospetto che dietro alla scelta di seguire il modello francese, ovvero la società partecipata con una multinazionale, vi siano i rapporti privilegiati con il colosso Acea della parte «affarista» del Pd. C’è ancora, a dirla tutta, basta farsi un giro su Internet. Dopo un milione e mezzo di firme, una vittoria schiacciante del centrosinistra ai ballottaggi e una sentenza della Cassazione, qualcosa è cambiato. Non troppo, a ben guardare. I referendari hanno già avuto l’appoggio convinto di Rosy Bindi e del segretario nazionale Pd; la consultazione del 12-13 giugno è all’improvviso diventata una priorità politica. Ma le reciproche diffidenze permangono: con molta malizia, l’associazione «Smuovileacque» ha postato sul suo sito un video del 2008 dove Bersani, in quel di Carpi, sosteneva le ragioni della privatizzazione di Aimag, la società che gestisce acqua, gas e rifiuti in una ventina di comuni tra Modena e Mantova. Se la pancia del comitato per l’acqua è scettica sulla sincerità del rinnovato entusiasmo del Pd, la base dei democratici ha fatto una scelta netta senza aspettare i propri vertici. Nella lista delle associazioni che hanno dato il loro appoggio al referendum ci sono quasi cento circoli territoriali del Pd, e l’intera rete giovanile del partito. Il vecchio Molinari è troppo vicino alla meta per lasciarsi andare. «L’altra sera, alla festa per Pisapia in piazza del Duomo, c’erano tanti ragazzi con la bandiera del Pd in una mano e quella dei comitati per l’acqua nell’altra. Mi piace pensare che il nostro movimento abbia determinato una presa di coscienza all’interno del partito. Ma sono consapevole del fatto che non esiste un solo Pd…» A dieci giorni dal referendum, non tutto è limpido all’interno dei democratici. Sergio Chiamparino, ad esempio, considera l’acqua come un nodo da sciogliere nei rapporti con Sel, strafavorevole al referendum. Non gli piace la «connotazione ideologica» dei quesiti, ha forti dubbi sulla possibilità di investire sugli acquedotti pubblici senza ricorrere ad aumenti di capitale che peserebbero sulle tasche dei cittadini. Enrico Letta, che da sempre ha posizioni laiche sull’acqua, ha dichiarato che voterà sì al primo quesito (abolizione della legge Ronchi) e no al secondo, che vuole abrogare la tariffa per l’erogazione dell’acqua e viene considerato dai referendari come la chiave per chiudere definitivamente la porta alle aziende private. Una posizione, la sua, che trova non pochi adepti nel Pd. Roberto Della Seta, senatore, ex presidente di Legambiente, guida invece il gruppo degli «ecologisti» Pd che più di una volta hanno espresso dubbi sui quesiti e sull’utilità del referendum. Acqualiberatutti, comitato trasversale a favore della privatizzazione dell’acqua, conta tra i suoi 6 esponenti del Pd su 13 fondatori, e gode dell’appoggio esterno del senatore Pd Lucio D’Ubaldo: «Il referendum sull’acqua — sostiene — porterà solo acqua alla speculazione e alla confusione» . Contrario invece Della Seta, che lo considera un covo di «liberisti della prima ora e di altri neofiti» . A favore, ma anche contro, neutro in alcuni casi. Luca Faenzi, giovane portavoce del Forum italiano per l’acqua pubblica, parla di un Pd «pirandelliano» , nel senso di uno nessuno e centomila. L’occasione li ha resi parenti. Per i serpenti, c’è soltanto da aspettare il giorno dopo.
Marco Imarisio